Autore Redazione
venerdì
7 Aprile 2017
00:31
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Eventi - Alessandria

La tragedia pura e la melodia dei suoi versi. Recensione di “Antigone” di Vittorio Alfieri al Teatro San Francesco

La tragedia pura e la melodia dei suoi versi. Recensione di “Antigone” di Vittorio Alfieri al Teatro San Francesco

ALESSANDRIA – Uno scenario di rovine industriali e un rumore di sottofondo che sa di ruggine e distruzione. E’ una desolazione che è stata definita post-industriale quella in cui è ambientata “Antigone” di Vittorio Alfieri, realizzata dalla Fondazione Gabriele Accomazzo per il Teatro e presentata , giovedì 6 aprile, al Teatro San Francesco nell’ambito della stagione MARTE.

Il regista Marco Viecca  ha immaginato così la Tebe dove il tiranno usurpatore Creonte (lo stesso Viecca) condanna a morte Antigone per aver donato, contro la legge, sepoltura al fratello Polinice, morto combattendo contro la città.

La tragedia alfieriana è rispettata nei bellissimi e non facili versi. E’ una musica parlata che fa emergere figure gigantesche. L’Antigone di Daniela Placci è un’eroina che non solo infrange la legge umana in nome della sacra legge del sangue, ma che va incontro alla morte per scelta inderogabile. Il suo sacrificio è ostinato e incarna una santità ispirata che pare quella di una Giovanna d’Arco che porta su di sé il compito di espiare le colpe di una stirpe (quella di Edipo).   Di altissimo contenuto lirico il suo dialogo in prigione con Emone (Eros Emmanuil Papadakis, che ben modula amore e dovere filiale, sentimento per Antigone e disperazione), il figlio di Creonte che la ama e tenta invano di salvarla. Altra grande figura femminile è quella di Argia (Rossana Peraccio), sposa di Polinice e animata dall’amore coniugale che la spinge al sacrificio. Sulle sue spalle non c’è da scontare un’impurità di nascita, ma la sua dignità la contrappone al re e ne fa la sorella d’elezione di Antigone.

Il polo negativo è Creonte, il tiranno avido di potere, che siede su un trono che potrebbe essere di un signore oscuro e che vi è legato da un desiderio di possesso che pare morboso. Marco Viecca ha enfatizzato cattiveria e ottusità, con delle sfumature grottesche gestuali ed espressive, che sottolineano la totale incapacità di capire gli ideali che muovono chi lo circonda. I suoi atteggiamenti sono gretti, a volte disgustosi, come quando mangia fragole mentre dispensa la grazia non richiesta ad Argia, per puri calcoli politici.  E’ un titano nella negatività e il suo crollo, con il suicidio del figlio Emone, sarà improvviso. Il trono si trasformerà in sedia a rotelle per un vecchio improvvisamente invalido e privo di scopi.

Colpisce la bravura dei protagonisti, che scandiscono gli endecasillabi alfieriani, con tutta la loro complessità, con una forza e una convinzione che rapiscono. La tragedia è animata, inquietante e ha un impatto emotivo che colpisce con forza. Soprattutto il ritmo veramente sostenuto consente di godere di una poesia sonora che è tutt’uno con un rumore indefinito e rovinoso di fondo oppure con la musica, nei momenti di strazio e amore.

Una versione dell’Antigone alfieriana pura e bella, come deve essere e come si vuole vedere.

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