Autore Redazione
sabato
26 Gennaio 2019
06:00
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Cronaca - Eventi - Alessandria

Nel viaggio la tragedia. Recensione di “Spoglie” al Teatro San Francesco

Nel viaggio la tragedia. Recensione di “Spoglie” al Teatro San Francesco

ALESSANDRIA – La tragedia greca tocca corde profonde, non necessita di essere adattata al presente, perché lo contiene, pur appartenendo al mito. E’ con un allestimento che è parso sacrale e carnale al contempo che la Compagnia Stregatti ha messo in scena, venerdì 25 gennaio, nell’ambito della stagione MARTE, “Spoglie”, tratto da “Le Troiane” di Euripide, in replica anche stasera sabato 26, sempre alle 21 e già sold out.

La tragedia Euripidea dà vita allo strazio delle donne troiane, dopo la caduta della città, in procinto di essere attribuite come schiave e deportate dagli achei vincitori. La regia di Gianluca Ghnò accomuna sul palcoscenico protagoniste e pubblico, spostando l’ambientazione in uno spazio buio dai rumori scricchiolanti e acquatici di sottofondo. E’ una prigione e il viaggio in mare è già iniziato, per arrivare ad un approdo nemico privo di salvezza (difficile non pensare ad altre traversate marittime, di questi tempi, ed è qui l’attualità che emerge senza necessità di rimandi espliciti).

Giusy Barone, Assunta Floris, Stefania Cartasegna, Simona Gandini sono un’entità unica e corale, dalle movenze scomposte e disperate, per poi distinguersi nelle singole identità e nelle diverse sfumature del lutto. La coralità del prologo assume la forma di un rituale, ripetuto ad ottenere una dimensione di sacralità, dalla quale emergono particolari e si stagliano le singole storie. Emerge Ecuba/Assunta Floris che unisce strazio, regalità, pur nella disgrazia, e lucido odio verso Elena/Stefania Cartasegna, altrettanto vittima perché venduta a Paride per la sua bellezza. Il loro scontro diventa fisico, della stessa fisicità violenta e disperata che si respira sin dall’inizio. La Cassandra di Giusy Barone è inquietante nella sua calma predizione della sorte di Agamennone, cui è data schiava. La sua interpretazione tocca il registro dell’interiorità e colpisce nel segno proprio per la nota di stridente serenità della vendetta. Andromaca/Simona Gandini è il dolore assoluto di una madre che consegna il figlio bambino alla morte. Emerge per dignità e per dolcezza straziante, tutto in lei è umano ed eterno.

Non ci si limita ad assistere; il pubblico è aggirato, toccato, è oggetto di richieste di aiuto. I movimenti sono tali da destabilizzare, le luci fioche e non necessariamente focalizzate su chi parla. In una scena che cambia continuamente centro focale e si impadronisce di tutto lo spazio disponibile, si fa un viaggio sinistro e si approda con nelle orecchie un monito che nulla ha di salvifico. Un allestimento di grande impatto per coralità e intensità di interpretazione, notevole per l’atmosfera opprimente che impedisce qualsiasi distrazione e ingloba lo spettatore. “Spoglie” si potrebbe definire con un ossimoro: una tragedia di una semplicità sontuosa.

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