Autore Redazione
martedì
31 Marzo 2015
07:21
Condividi
Cronaca - Valenza

Un piccolo ‘angolo’, un ‘sacco’ di emozioni. La boxe vera è a Valenza [FOTO]

Un piccolo ‘angolo’, un ‘sacco’ di emozioni. La boxe vera è a Valenza [FOTO]

VALENZA – C’è una famiglia da 50 persone in un anonimo stabile a Valenza, davanti al Foral. Se infilate la porta vi ritrovate in un piccolo corridoio, con mattonelle scure. I muri vi parleranno attraverso foto e poster ingialliti, una scrivania segna la fine di quel corridoio. Poi dovrete per forza girare a sinistra e vi imbatterete nella ruspante palestra di Adriano Gadoni. Non cadete in errore e non traete giudizi affrettati perché questo ambiente vi sembrerà più familiare di quanto possiate immaginare. Ogni faccia vi sorriderà e saluterà, anche se avrà fretta di infilare le porte improvvisate degli spogliatoi per poi fiondarsi in una stanza di alcune decine di metri quadri: da una parte il ring che delimita gli atleti formati, dall’altra una piccola area dove ci sono invece coloro che corrono per diventarlo o semplicemente per divertirsi.
Siete nella palestra di Adriano. Occhi socchiusi. Occhi sorridenti. Eppure è un pugile, perché è lì che siete finiti, in una palestra da pugilato, di quelle che sembrano uscite fuori dalle pellicole in bianco e nero, quelle alla Roky prima maniera, per intenderci, dove ogni cosa è cruda, vera, genuina, anche datata se volete, ma nel senso buono. Adriano è il padre di questa famiglia, innamorato di uno sport storico e nobile entrato nelle sue mani dopo la fuga dal calcio: “non mi piaceva più – ha raccontato. Allora mi avvicinai a questa disciplina. Ero ragazzo e come tutti, quando fai sport, vuoi giocare. Ieri come oggi questo non sempre succedeva perché ci sono i genitori che premono, oppure altri sono più bravi e allora io scelsi il pugilato. I ragazzi che si trovano qui hanno fatto una scelta simile alla mia e in buona parte per la stessa ragione”.
La palestra di cui parla Adriano, mentre i suoi occhi socchiusi brillano, è un piccolo spazio illuminato da tenui neon in cui la timidezza della luce è sopraffatta dal fragore energico di piccoli e grandi pugili. Tutti insieme. Nessuna rivalità, i piccoli seguono un breve percorso circolare, infilano i piedi nei copertoni delle auto per irrobustire i muscoli delle gambe, accarezzano l’ambito sacco mentre corrono saltellando. Sul ring nel frattempo una corda sospesa in aria è il punto di riferimento di un pugile ucraino, Roman Padyk, neoprofessionista, che oscilla a destra e sinistra per seguire il filo di questo sport, per mantenere il contatto con l’ipotetico avversario, e allenarsi a evitare i colpi dell’avversario che per il momento è immaginario. Tutto questo scandito dalla campanella del ring che suona imperterrita e instancabile ogni tre minuti. Non te ne accorgi subito ma quel suono arriva da un cronometro appeso a un muro bianco, accerchiato da decine di trofei a cui non bada più nessuno, ma che raccontano la storia di una passione. Nessuno sembra farci più caso, men che meno Adriano, impegnato a dispensare consigli, a raccomandare prudenza nei colpi, a regalare battute e soprattutto a socchiudere quegli occhi che non ti aspetti in chi nella vita dovrebbe suonarle. Ma d’altra parte non ti aspetti neanche di sbucare in una palestra come la sua. Cinque scalini e finisci in questo spazio in cui i problemi vengono appesi e i guantoni infilati. “Una roba diversa dalla palestra classica“, ci ha spiegato Adriano. “Nella palestra classica si va per trascorrere due ore, chiacchierare con la gente, spettegolare e vestirsi bene – spiega divertito Adriano. Nella mia puoi venire con le scarpe rotte e con qualunque abbigliamento. Mi interessa la partecipazione e il gruppo. Non voglio invidie. Tutti si stupiscono perché nella mia palestra quello che lasciano o dimenticano lo ritrovano. Questo spazio è come casa mia. Io voglio che se lascio qualcosa in un posto la possa ritrovare dove l’ho messa. Così accade da me”.

In questa palestra accade anche che se qualche ragazzo non può permettersi la retta mensile quegli occhi socchiusi, Adriano, li chiude tutti e due: “che problema c’è, se uno non può permetterseli questo non rappresenta un problema”.
I problemi sono altri. Sono gli incontri disputati a Biella, come quello di domenica con protagonista il campione valenzano Lucio Randazzo (clicca QUI). Il pugile 22enne è dovuto andare in trasfertaperché – ha raccontato amareggiato Adriano – a Valenza non me lo fanno fare, che poi chissà che cos’ha di diverso il parquet del palazzetto di Valenza rispetto a quello di tutte le altre città dove si può installare un ring regolarmente come accaduto a Biella dove Lucio si è regolarmente esibito“. Già, Lucio Randazzo, stella della boxe valenzana, solitamente in piedi alle 7.30 del mattino per allenarsi un’ora e mezza, al lavoro nel bar con il padre alle 12 fino alle 18.30 per poi tornare ad allenarsi fino a sera tardi. Eppure lui è un atleta vero, sorridente, pulito, determinato e dai modi gentili. Ha superato alla grande il suo avversario domenica sera e avrebbe dovuto sfidare il campione italiano, Andrea Scarpa. Nel pugilato professionistico però le cose non sono sempre lineari e quindi dovrà aspettare ancora. Lucio comunque a quel titolo punta davvero. E Valenza così scoprirà questo campione, come hanno già fatto una trentina di amici e frequentatori della palestra, partiti da Valenza per sostenerlo. Ma c’è un però.

La bravura del campione valenzano in Italia è chiusa in un angolo. Per questo Adriano gli ha suggerito di andare all’estero: “in Italia a parte 4-5 persone che hanno il manager giusto non ci sono possibilità. Solitamente ti prendono se hai già dei titoli. Non prendono nessuno a 22 anni. Lucio domenica ha battuto uno che è stato campione italiano, con 22 match e 16 vinti di cui tre prima del limite. Noi facciamo del nostro meglio ma qui i soldi non ci sono e io ho consigliato a Lucio di trasferirsi all’estero, o in Germania, o in Inghilterra o negli Stati Uniti perché in Italia sei costretto a far pugilato per poche centinaia di euro. Domenica lui ha combattuto gratis”.
Valenza ha un talento. Si allena in una piccola palestra, combatte fuori provincia e presto dovrà andare all’estero se vorrà continuare questo sport. Non è un film.

Fabrizio Laddago

Di seguito l’appassionante reportage fotografico di Walter Zollino:

Condividi