Autore Redazione
mercoledì
18 Agosto 2021
11:37
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Cronaca - Eventi - Novi Ligure

Come in un cartoon d’epoca. Recensione di “Che fine ha fatto Betty Boop?” ad Hortus Conclusus

Ieri serata teatro con Il Teatrino di Bisanzio alla rassegna novese ideata e diretta da Andrea Lanza. Questa sera il piccolo cinema di Hortus con la mini-rassegna cinematografica “La morte ti fa sorridere”
Come in un cartoon d’epoca. Recensione di “Che fine ha fatto Betty Boop?” ad Hortus Conclusus

NOVI LIGURE – “Betty Boop verrà dimenticata e così la sua vuota vita”. E’ con un’analogia decisamente ardita con il monologo finale dell’Antigone che termina “Che fine ha fatto Betty Boop?” del Teatrino di Bisanzio, ovvero Andrea Benfante e Anna Giarrocco. Lo spettacolo è stato presentato ieri, 17 agosto, ad Hortus Conclusus, la rassegna ideata e diretta da Andrea Lanza, particolarmente nutrita, in questa settima edizione, di eventi teatrali. Stasera per il piccolo cinema di Hortus continua la mini-rassegna cinematografica “La morte ti fa sorridere” curata da Andrea de Rose con il film “La signora omicidi” del 1955 per la regia di Alexander Mackendrick con Alec Guinnes e Peter Sellers. Qui il programma di questa settimana.

La fama di sex symbol animato di Betty Boop è la lente d’ingrandimento attraverso la quale il Teatrino di Bisanzio scruta la vita di due personaggi dei cartoni animati degli anni ’30 come se fossero individui dotati di vita. Betty e Koko il clown, ormai dimenticati da vent’anni dal loro creatore Max Fleischer, vivono all’interno di uno studio e, in particolare, dentro un calamaio, contenente l’inchiostro con cui sono stati disegnati. Improvvisamente vengono cercati, come vecchie star, per ritornare sugli schermi, ma sarà una breve avventura che escluderà Betty, irrimediabilmente passata di moda. I due protagonisti ripercorrono la storia del personaggio Betty Boop, le sue mutazioni, da donna-cane che si accompagna al cane Bimbo, alla ragazza adolescente che ricalca i modi delle flapper. Ne emerge un’epoca, quella degli anni ‘30 eredi degli anni ruggenti, di contraddizioni, di oggettivazione dell’immagine femminile e di falsa emancipazione legata a modelli vuotamente estetici.

Benfante e Giarrocco si muovono come in un cartone animato dell’epoca, cantano, mantengono uno stile vintage che svela un’attenta ricerca sulla produzione cinematografica e sulla società degli anni ‘30, costruiscono un mondo che parte dalla finzione e arriva alla realtà. Vi rientrano scandali, come quello del comico-assassino Fatty o come le tendenze pedofile di Charlie Chaplin, e vi rientra il conformismo borghese che copre le peggiori scorrettezze. I loro personaggi riflettono una mentalità che apprezzava la donna-bambina sexy e ingenua, bersaglio di allusioni al limite della molestia e tuttavia compiacente. Sono compenetrati dell’atmosfera licenziosa del loro tempo, fatto di eccessi hollywoodiani e di scandali, che causarono nel 1934 la censura sui film, regolamentata dal Production Code, vera causa della fine del successo di Betty Boop. Tutto questo in un’aura congelata nel tempo, dove la gestualità è quella di una bambolina sexy e di un crudele clown, che pare una demoniaca maschera della commedia dell’arte. Koko/Benfante è un compagno-carceriere maschilista, egoista e cinico, mentre Betty/Giarrocco sogna di affrancarsi dal suo personaggio e di diventare (paradossale aspirazione, con la sua vocina ricalcata su quella di Helen Kane) un’attrice drammatica, degna di recitare l’Antigone. Eppure una tragedia si consuma, anzi due, seppur in tempi diversi e seppur con la velatura dell’ironia particolare del Teatrino di Bisanzio. Alla fine degli anni ‘30 Betty viene abbandonata dalla penna di Max Fleischer e, all’inizio anni ‘60, mentre Koko sarà rilanciato da una serie animata, lei sarà ancora ignorata. Il primo abbandono si consuma sulle note di Minnie the Moocher, cantata da Benfante che danza al ritmo di jazz, esattamente come Koko nel cortometraggio omonimo, mentre il secondo coincide con l’addio alla vita di Antigone.

E’ uno spettacolo intenso “Che fine ha fatto Betty Boop?”, fortemente caratterizzato da uno stile che Il Teatrino di Bisanzio ha fatto proprio, ricalcando stilemi vintage e approfondendo ricerca storica e di costume. La sensibilità è tutta moderna e si sorride riscoprendo un mondo di grande complessità, che ha gettato le basi per tante contraddizioni che permangono tuttora. Su tutte, la superficiale emancipazione delle flapper, le maschiette tanto simili a Betty per aspetto e acconciatura, che emulavano atteggiamenti maschili e simulavano una parità di genere ben lontana dalla realtà. Credibile e persino commovente Anna Giarrocco nei panni di Betty e malefico il clown Andrea Benfante, politicamente scorrettissimo e vera creatura degli inferi nelle movenze da cantante jazz. Il Teatrino di Bisanzio è una realtà di spessore e di rara originalità e le sue modalità volutamente datate appaiono estremamente contemporanee nell’odierno panorama teatrale.  Decisamente da non perdere.

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