Autore Redazione
domenica
28 Maggio 2023
11:48
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Cronaca

Una giornata a “La casa in collina” alla Casa degli Alfieri a Castagnole Monferrato

Termina domenica 28 maggio, tra teatro, arte, laboratori e convivio, il minifestival Realizzato da Casa degli Alfieri
Una giornata a “La casa in collina” alla Casa degli Alfieri a Castagnole Monferrato

CASTAGNOLE MONFERRATO – E’ inscindibile dal paesaggio in cui è immerso e dalla sua storia di centro di produzione artistica la Casa degli Alfieri, dove anche quest’anno, sino a domenica 28 maggio si svolge il minifestival “La casa in collina”, (qui il programma, che prevede, tra i tanti eventi di domenica, alle 16 lo spettacolo “La dama degli argonauti” con Lorenza Zambon). Realizzato da Casa degli Alfieri nell’ambito della rassegna “Cuntè Munfrà”, il festival ha l’impronta della sua ideatrice Lorenza Zambon, attrice-giardiniera che negli anni ha sviluppato una ricerca sul rapporto uomo-natura. E così, nel cuore del Monferrato, ci si sente vicini a quella rara sensazione di equilibrio perfetto tra bellezza donataci e arte. Partecipare a La casa in collina significa innanzitutto entrare nel percorso di decenni di vita degli Alfieri e della loro casa, luogo di creazione artistica, da sempre cantiere teatrale aperto a collaborazioni esterne. “L’unica esperienza (ancora in essere) in Italia dove ci sono persone che si sono messe insieme per fare quello che amavano”, ha semplicemente spiegato Antonio Catalano, fondatore degli Alfieri con Lorenza Zambon, Maurizio Agostinetto e il compianto Luciano Nattino). Ed è con semplicità che Catalano ha mostrato i suoi Universi Sensibili, armadi magici nei quali potersi rinchiudere, come nel guscio di una lumaca, per entrare in mondi di sensazioni e di incanto. In ogni giorno del festival, tra spettacoli, workshop e momenti conviviali, è possibile visitare anche l’ARchivio della TEatralità POpolare, ideato da Luciano Nattino, che documenta oltre 50 anni di attività locale e internazionale dalla compagnia teatrale “Casa degli Alfieri”, e la biblioteca ornitologica di Carlo Lomazzi, una raccolta preziosa di testi antichi dalle stampe raffinate. Durante la visita anche un omaggio video all’amico di sempre Eugenio Allegri, che proprio ad Asti debuttò con il fortunatissimo “Novecento” di Alessandro Baricco. Ad Allegri sarà dedicato uno speciale archivio ora in preparazione, contenente documenti, video, ricordi del suo lavoro e della sua lunga e mai terminata collaborazione con gli Alfieri.

Ieri, sabato 27 maggio, dopo un percorso sonoro all’ascolto dei suoni e dei silenzi, guidato dalla musicista e sound artist  Claudia Ferretti Isonde, il primo spettacolo della giornata è stato “Quercus. Serenata per il mio Albero” con Patrizia Camatel, che ne ha curato la sceneggiatura, e i musicisti Marco Silletti (autore delle musiche originali), Maria Grazia Reggio e Matteo Ravizza. Il testo è ispirato al libro «Essere una Quercia» di Laurent Tillon, con l’adattamento di Patrizia Camatel, ed è una storia “a ritroso nell’antichità della foresta, per ritrovare le nostre origini selvatiche”. La quercia è “l’albero da compagnia” della voce narrante, un essere vivente connesso con il tutto, capace di prendere e restituire in un equilibrio perfetto, così pulsante di vita da infondere benessere anche all’uomo. Patrizia Camatel racconta, moltiplica la sua voce in tante e diverse forme, crea immagini, diverte e commuove. Decisamente si ride ascoltando i punti di vista degli ospiti della foresta, complici di quel ciclo vitale che assegna ad ognuno di loro un ruolo. Il topo anziano e smemorato sposta le ghiande in un luogo riparato dove la quercia attecchisce e così il bruco, dal gergo militaresco spassoso come la sua voracità, sa di essere programmato per mangiare le foglie dell’albero. La narrazione è sostenuta da un tappeto sonoro che evoca i suoni della foresta, si fa flebile e poi impetuoso, come una tempesta distruttiva. Eppure ogni calamità naturale è parte del tutto ed è seguita da un processo di rigenerazione; solo l’uomo, che “cerca di razionalizzare, intervenire” crea scompensi irreparabili. E’ un viaggio nel profondo, “Quercus”, giocato con un accostamento di nozioni scientifiche (Tillon è biologo e ingegnere forestale) e di racconti declinati in tanti registri. Il climax si raggiunge nella coesistenza di morte e nuova vita, nella volta di luce che si apre dove l’albero cade e un altro può crescere. Quercus inizia come una piccola storia intimistica di amore per un albero, continua con una pluralità di voci, stupisce con una precisione scientifica illuminante e, infine, diventa la narrazione epica della vita del tutto. C’è ancora il sole che filtra attraverso le foglie della quercia al fianco di Patrizia Camatel, ma sembra di vedere la luna “sospesa su quella selva”, evocata con i versi di Leopardi. Un finale lirico che affascina, mentre lascia la consapevolezza dell’azione dissennata dell’homo faber “che fa, fa…”, mentre dovrebbe rispettare e preservare.

La casa in collina è anche convivio e la cena è all’aperto, di fronte ad un giardino rigoglioso di piante altissime e al bellissimo paesaggio collinare, per poi assistere, alla sera, alla lettura scenica  “Habitat naturale” con Elisabetta Granara del Gruppo di Teatro Campestre. La sala con gli armadi degli Universi Sensibili di Catalano è una scenografia perfetta per l’ambientazione da museo di storia naturale del testo. Elisabetta Granara, direttrice arcigna e competentissima, si aggira tra gli scaffali dell’esposizione inanimata e arringa una scolaresca annoiata. Parla dell’introduzione sconsiderata dei conigli in Australia a metà ‘800 e delle sue conseguenze sull’ecosistema; parla (e qui ritorna il motivo della connessione del tutto) della dispersione, il principio di abbandono di un territorio per un altro che permette la prosecuzione della vita. Habitat naturale è uno spettacolo nato per due attori e presentato in teatro, ma anche rappresentato con una scenografia minimale, interpretato e in parte raccontato dalla sola Granara. In questa forma diventa una riuscita commistione di dialoghi divertenti, di momenti descrittivi, che ricreano come didascalie ambienti e situazioni, e di interazioni con il pubblico, grazie ad un’empatia che la protagonista sa subito instaurare. Dà voce e corpo, con fare enfatico e andatura claudicante, all’anziana direttrice e assume un’ingenua cadenza veneta per interpretare Severino, il tuttofare del museo. Il registro è quello di un thriller ironico e sorridente, ma c’è un’inquietudine di fondo data da un elemento estraneo che introduce oggetti e sposta i reperti del museo. “Qui è tutto fermo. La vita non ci travolgerà con la sua furia”: è una constatazione e un rimpianto, perché la direttrice sa che una raccolta immobile, che pretende di catalogare e razionalizzare la natura, è l’esatto contrario della vita. E allora una scena un po’ tribale di aspersione dei semi (la casualità creatrice), la musica afro e le movenze goffe e solenni dell’anziana protagonista preannunciano l’irrompere del nuovo. La dispersione coinvolge le migrazioni umane, in un’economia del tutto che comprende ogni specie vivente. Così lo straniero che irrompe nel mondo fermo del museo è causa di crisi, ma fa parte di una necessità ciclica di rinnovamento e la direttrice lo sa bene, mentre lo spiega all’atterrito Severino.  La vita è un viaggio e i versi di Baudelaire (“…Morte, vecchio capitano! Salpiamo…!”) accompagnano un cambiamento, perché le risposte che si possono trovare nella biologia e nelle scienze sono la dispersione, l’adattamento e il rinnovamento, non la staticità. Veramente brava Elisabetta Granara e un testo profondo, preciso nei contenuti e scritto con leggerezza godibile, da non perdere, come non è da perdere “La casa in collina”, la cui ultima giornata è ricchissima di appuntamenti. La casa in collina è alla casa degli alfieri in Regione Moriondo, a Castagnole Monferrato (AT). Il programma è su teatroenatura.net, archivioteatralita.it, fb.  E’ anche inserita nel programma diffuso della rete Terre Alt(r)e con le compagnie torinesi Onda Teatro e Compagni di viaggio.

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