Autore Redazione
domenica
26 Giugno 2016
22:57
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Cronaca - Alessandria

L’imprenditoria è sempre più femminile. In Provincia una su 4 è diretta da donne

L’imprenditoria è sempre più femminile. In Provincia una su 4 è diretta da donne

PROVINCIA ALESSANDRIA – In provincia le imprese femminili sono 10.462 pari al 24% del totale ed è un dato che piazza il territorio al primo posto in Piemonte. La buona notizia è raffreddata però dal calo rispetto al 2014. Le imprese femminili sono infatti scese dello 0,7%. Le donne sono soprattutto al comando di aziende dei settori dell’agricoltura e del commercio. Una su cinque è artigiana e una su dieci, infine, è straniera, in particolare guidata da imprenditrici della Romania, della Cina, del Marocco, e dell’Albania. 

Riguardo i settori di attività, agricoltura e commercio assorbono in eguale misura le donne imprenditrici, comprendendo insieme la metà delle imprese femminili provinciali: 25% agricoltura (2.612 imprese), 25% commercio (2.595 imprese). La restante metà dell’universo imprenditoriale femminile della provincia (prendendo in considerazione i dati più significativi 6 ) è suddiviso fra attività dei servizi di alloggio e ristorazione (9%), attività manifatturiere (7%), immobiliari (5%), costruzioni (3%) e il settore del “noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese” (3%).

Le donne che fanno impresa in provincia di Alessandria sono per lo più (71%) imprenditrici individuali (7.457 imprese). A seguire, ricoprono ruoli in società di persone (1.517 imprese) e in società di capitali (1.311). Le imprese artigiane femminili in provincia sono 1.966, pari al 19% del totale delle imprese donna, e pari al 17% del totale delle imprese artigiane provinciali (11.724). Il tasso di crescita rispetto al 2014: +5,9%. Sono concentrate prevalentemente nel settore delle “altre attività di servizi” (967 imprese, pari al 49% del totale) e nelle attività manifatturiere (470 imprese, pari al 24% del totale); seguono “noleggio, agenzie di viaggio, servizi di supporto alle imprese” (143 imprese, pari al 7% del totale), costruzioni (132 imprese, pari al 7% del totale), attività dei servizi di alloggio e ristorazione (101 imprese, pari al 5% del totale).

Gurdando al quadro generale, nel complesso, sembra che il futuro imprenditoriale sia sempre più di marca femminile. Tra il 2010 e il 2015 c’è stato un incremento di imprese rosa pari a 35mila unità. Il loro aumento rappresenta il 65% dell’incremento complessivo dell’intero tessuto imprenditoriale italiano (+53mila imprese) nello stesso periodo. Più dinamiche quindi (+3,1% il tasso di crescita nel periodo a fronte del +0,5% degli imprenditori uomini), ma anche sempre più digitali e innovative, più giovani, più multiculturali. Il Rapporto è di ImpresaInGenere, realizzato da Unioncamere nel quadro della collaborazione con Ministero Sviluppo Economico, Presidenza del Consiglio dei Ministri-Dipartimento Pari Opportunità.

Innovare è la parola d’ordine anche tra le donne d’impresa: tra il 2010 e il 2015, le imprese femminili legate al mondo digitale sono aumentate del 9,5% contro il +3% del totale. In valori assoluti, il settore dell’Information and communication technology a trazione femminile è aumentato di circa 1.800 unità, passando dalle 18.700 del 2010 alle 20.500 del 2015. Anche nel mondo delle startup innovative i progressi sono evidenti: se nel 2010 le startup innovative femminili erano solo il 9,1% del totale, nel 2014 sono diventate il 15,4%, pari a circa 600 imprese. Tra le attività maggiormente diffuse, la produzione di software e consulenza informatica (pari al 24,3% del totale start up femminili), ricerca e sviluppo (17,4%) e fornitura di servizi di ICT (13,7%).

Nel complesso, l’universo dell’impresa femminile riflette lo stesso processo di terziarizzazione in atto in tutto il sistema produttivo nazionale: le aziende “rosa” nei servizi sono aumentate in 5 anni del 6,2% (+42.500) mentre sono diminuite del 13,4% (-32.600) nel settore primario e dell’1% (-800) nel manifatturiero. Nel terziario l’aumento delle imprese femminili ha riguardato quasi tutti i comparti, a cominciare da turismo (+17,9%; +15.200), sanità-assistenza sociale e istruzione (+21% in entrambi i casi; rispettivamente +2.100 e +1.300), cultura-intrattenimento (+12,8%; +1.700). Nel manifatturiero, avanza l’alimentare grazie all’aumento del 13% di imprese femminili. La maggiore velocità di espansione delle imprese guidate da donne, rispetto a quelle maschili, si riscontra in tutte le aree del paese: Nord-Ovest (+3,4 contro -0,5%), Nord-Est (+2,6 contro -2,6%), Centro (+6,3 contro +4%), Meridione (+1,4 contro +0,8%).

Sono quasi 3 milioni gli addetti che lavorano all’interno delle attività a trazione femminile, pari al 13,4% del totale degli addetti nel settore privato. Anche sotto il profilo occupazionale la crisi è stata un po’ meno dura per le donne. Tra il 2010 e il 2014, secondo i dati Istat, l’occupazione femminile è aumentata (+1,7%; pari a +156mila lavoratrici), dimostrandosi in controtendenza rispetto alla flessione subita da quella maschile (-3,8%; -498 mila). Marcato soprattutto l’aumento delle occupate laureate (+15,8%; +324mila), superiore alla corrispondente media Ue (+14,3%). A questa dinamica si contrappone la contrazione delle occupate con al massimo la licenza media (-8,2%; – 205mila) e il lieve incremento di quelle con diploma (+0,8%; +37 mila).

L’occupazione giovanile femminile (15-34 anni), però, ha subito una significativa flessione (-15,4%; -392 mila in valori assoluti) che, per quanto più contenuta di quella maschile (-18,8%), si è dimostrata ben più elevata della media europea (-4,4%). Ad oggi, comunque, tutte le classifiche relative al lavoro femminile vedono l’Italia in posizioni critiche: il nostro Paese registra uno dei tassi di disoccupazione femminile più elevati (13,8% nel 2014), peggiori solo in Grecia, Spagna, Croazia, Cipro e Portogallo. Solo la Grecia sta peggio di noi nella classifica Ue per tasso di occupazione femminile, mentre nella classifica per tasso di inattività femminile, l’Italia è al secondo posto, dopo Malta, con una quota del 45,6% (a fronte di una media Ue del 33,5%). Il tasso di inattività, poi, calcolato sulle motivazioni legate a impegni e responsabilità di famiglia (accudimento figli, cura di persone non autosufficienti o anziani.), è per l’Italia superiore alla media europea (11,3 contro 8,3%). E’ il terzo valore più elevato fra i 28 paesi comunitari.

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