Autore Redazione
martedì
25 Febbraio 2014
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Politica - Alessandria

La casa-famiglia Rosanna Benzi, una storia di solidarieta’

La casa-famiglia Rosanna Benzi, una storia di solidarieta’

Si chiamano Mariella e Claudio e sono i primi due ospiti della Comunità socio-assistenziale per disabili Rosanna Benzi di Alessandria. Si tratta di un progetto di casa famiglia lanciato negli anni 90 dall’associazione Idea e solo oggi partito ufficialmente. Nella comunità vengono accolte persone disabili senza sostegno familiare. L’associazione Idea ora chiede un sostegno economico a Regione ed Asl per aumentare gli ospiti all’interno della struttura, visti gli altri sei posti disponibili.

Ma facciamo un passo indietro e, grazie al presidente dell’Associazione Idea, ripercorriamo la storia di questa casa-famiglia alessandria…

Sin dalla sua fondazione, nei primi anni ’90, l’associazione Idea aveva tra i suoi obiettivi la realizzazione di una casa-famiglia in grado di accogliere persone disabili senza sostegno familiare.
Dal 1991 esisteva, ad Alessandria in via Galimberti 2/A, una microcomunità che ospitava 6 pazienti disabili gravi tra i quali Livio Moscardo, tetraplegico e socio costituente dell’Associazione Idea. 
Nel ’94 a causa dell’alluvione  la microcomunità venne dichiarata inagibile, ed i sei ospiti vennero trasferiti prima presso la Casa Protetta dell’ASL in via Pacinotti e dopo circa sei mesi nella Casa di Soggiorno Il Platano.
In questa nuova sistemazione l’amico Livio non riuscì mai ad ambientarsi.
Il fatto che fosse alloggiato in una camera singola lo gravava dei problemi  conseguenti l’isolamento e la distanza notevole della struttura dal centro cittadino ne limitava l’autonomia rendendogli difficile raggiungere la sede dell’Idea che Livio amava frequentare quotidianamente..
Ogni giorno, infatti, il nostro amico rischiava la sua incolumità compiendo un tragitto di circa 5 km con la sua carrozzella a trazione elettrica su strade gravate da traffico pesante e  rese ancor più pericolose dalla totale assenza di protezioni e marciapiedi accessibili.
Fu così che obbiettivo primario dell’Associazione divenne la ricerca di un luogo adatto ove realizzare la nostra casa famiglia.
L’anno successivo l’Amministrazione Comunale iniziò i lavori di ristrutturazione della Casa di Soggiorno Comunale Nicola Basile e  come Associazione chiedemmo che un’ala della struttura fosse destinata all’ospitalità di persone disabili gravi ancora giovani, proponendo un progetto di vita che gli garantisse un’adeguata autonomia. Ottenemmo solo tiepide promesse mai mantenute.

Il 30 dicembre 1999 la Giunta Regionale deliberò l’estinzione dell’Opera Pia S. Giuseppe, dismessa da alcuni anni. La delibera della dismissione mi venne consegnata per essere discussa e votata nell’ambito della Commissione Politiche Sociali da me presieduta.
Prima della discussione in aula, decisi di andare a vedere dove era ubicata questa struttura e in che condizioni fosse l’immobile, che stava per diventare patrimonio comunale. Convocando sul posto la commissione consiliare, invitando inoltre i rappresentanti dell’Asl (Dott. Roberto Ferraro), della Provincia (assessore Mara Scagni),  del Cissaca (neo direttrice Laura Mussano) e alcuni componenti del direttivo dell’associazione Idea.
Mi colpì il fatto che la costruzione era circondata da una serie di edifici scolastici (Istituto Professionale Ial, Istituto Professionale Fermi, Istituto Nervi per geometri, distaccamento Liceo Scientifico), quindi molto sicura, vicina al centro della città, a poche centinaia di metri dall’Associazione Idea. Questi aspetti positivi ci fecero immediatamente innamorare del luogo e sognare li la nostra casa famiglia. Immaginando già di vedere studenti che potessero socializzare e perché no fare amicizia con Livio e le altre persone ospitate.
Considerando la notevole spesa per la ristrutturazione del S. Giuseppe ormai fatiscente , formulai la proposta di vendere la porzione di immobile prospiciente via Lumelli di oltre 3000 m3 , parte dell’ex IPAB di prossima acquisizione da parte del Comune, anch’essa con vincolo socio-assistenziale.
Il dott. Ferraro, dirigente dell’Asl, si dichiarò favorevole alla proposta e manifestò la volontà di contribuire alla realizzazione del progetto. La stessa cosa avvenne da parte dei rappresentanti del Cissaca, della Provincia e del Comune.
Ebbe inizio, così, un impegno costante per realizzare questo sogno, che l’associazione Idea nutriva da sempre.

Il 26 maggio 2000 a seguito del voto favorevole ed unanime della commissione politiche sociali, anche il Consiglio Comunale di Alessandria all’unanimità decise di acquisire l’immobile ascrivendolo al patrimonio del Comune, con vincolo di destinazione a servizi socio-assistenziali approvando la mia proposta di parziale utilizzo a casa famiglia per persone con gravi disabilità motorie.


Ottenuta la delibera del Consiglio Comunale decisi di conoscere le poche realtà di case famiglia che esistevano in Italia, allora. Nei primi mesi del 2001 presi contatto con i responsabili delle tre case famiglia attive a Genova e decisi di andare a visitarle insieme al nostro tesoriere Ezia Cenedese. Le impressioni che ricavai furono positive, ma notai condizioni gestionali profondamente diverse tra loro. L’esperienza fu utile per chiarirmi le idee sull’organizzazione di queste strutture, in particolar modo tutti i gestori ci consigliarono di tenere separate le tipologie di disabilita, e soprattutto per caricarmi di energia ed entusiasmo, convincendomi ulteriormente della bontà e fattibilità del nostro sogno.

Con gli amici dell’associazione Idea decisi di organizzare un convegno (martedì 12 giugno 2001) invitando tra gli altri l’allora assessore regionale alle Politiche Sociali Mariangela Cotto.
Nel convegno si parlò dell’esigenza di case-famiglia e comunità alloggio per giovani con disabilita in grado, se aiutati, di reinserirsi nella società e quindi di creare strutture piccole ed organizzate con l’aiuto delle istituzioni (amministrazioni locali, scuola, imprenditoria, ecc) e del volontariato.
Ancora oggi, in molti casi, queste persone ‘sopravvivono’ in strutture non idonee, insieme a persone anziane, malate e senza più stimoli, sprecando molti anni della loro vita tra sofferenze fisiche (piaghe da decubito) e morali insopportabili e gravando economicamente sulla società.

Tre giorni dopo il nostro convegno l’assessore Cotto mi scrisse una lettera, inviandola anche alla Giunta comunale e al Cissaca, invitandomi a un incontro insieme all’assessore all’urbanistica e alla Casa Franco Maria Botta a Torino per il 28 dello stesso mese. All’incontro parteciparono i funzionari regionali in materia di politiche sociali e urbanistica (voglio citare l’architetto Marchiori e la signora Genisio, funzionaria ufficio handicap e politiche sociali della Regione), responsabili provinciali,  rappresentanti dell’Atc e altri dirigenti. Quella fu l’occasione per ribadire a tutti le esigenze delle persone con disabilità, a cominciare dalla necessità di avere alloggi di edilizia pubblica agevolata accessibili, e per ragionare insieme sulle azioni da compiere per realizzare le case-famiglia.
Il convegno e questo successivo incontro furono molti importanti e posero le basi per il Bando Regionale (DGR n. 42 – 6288 del 10/06/2002) che venne emesso nel 2002 per finanziare la ristrutturazione e la gestione diretta di comunità-alloggio e case-famiglia.

Durante la campagna elettorale per le elezioni comunali della primavera del 2002 parlai più volte con la candidata sindaco Mara Scagni, del progetto da attuare. Nei primi giorni che seguirono la sua elezione mi chiamò per garantirmi il sostegno alla nostra iniziativa e poco dopo decidemmo di aderire al Bando regionale per dare seguito alle tante parole fatte negli ultimi anni.
Il Bando Regionale in questione, purtroppo,  escludeva gli Enti Territoriali Pubblici riducendo la platea degli interessati ai soli Enti Privati come Cooperative Sociali e ONLUS. 
L’unica realtà che aderì al Bando fu la Cooperativa Il Gabbiano che con coraggio si propose, ben sapendo che la Regione avrebbe finanziato solo in parte l’iniziativa e dunque conscia di dover investire capitale proprio nel progetto di ristrutturazione e futura gestione.
Uno dei requisiti per ottenere il finanziamento (articolo 81 – legge 388/2000 finanziamenti) era di avere la proprietà dell’immobile, dunque l’amministrazione comunale nell’estate del 2002 concesse alla Cooperativa in diritto di superficie per la durata di 30 anni una parte dell’immobile Ex Ipab San Giuseppe. L’atto prevedeva che l’edificio si sarebbe dovuto trasformare in una comunità per disabili gravi, privi dell’assistenza dei familiari.
La cooperativa il Gabbiano ottenne il finanziamento regionale e per la ristrutturazione si avvalse della cooperativa sociale di tipo B La Ruota, di Alessandria. Ci furono, però, gli interventi dei funzionari della Soprintendenza Regionale delle Belle Arti che imposero di salvaguardare alcune parti: gli infissi originali e soprattutto le magnifiche volte unghiate. Tutto ciò allungò notevolmente i tempi e i lavori terminarono nel 2007.


La cerimonia di fine lavori si svolse nella primavera del 2007 e mi accordarono l’onore di intitolare la struttura alla mia amica Rosanna Benzi.
Nella comunità Rosanna Benzi il primo ospite, non fu il nostro amico Livio Moscardo che purtroppo venne a mancare, ma Antonio, tetraplegico,  che arrivò nel 2008 e solo nell’anno successivo fu raggiunto da altri tre ospiti. A fronte dei 9 posti disponibili nella casa famiglia, la presenza di soli 4 ragazzi, alcuni dei quali ospitati temporaneamente, causò grossi problemi economici alla cooperativa Il Gabbiano e a noi una profonda amarezza, perché convinti di potere finalmente vedere realizzato un nostro sogno e aiutare tante persone in difficoltà, rimanemmo delusi. Dopo un periodo di sofferenza, il 1° giungo 2010 l’attività della comunità per disabili Rosanna Benzi venne sospesa.
Poichè sarebbe stato un delitto lasciare una struttura così bella e confortevole inutilizzata, la Regione concesse una deroga alla cooperativa per ospitare giovani minori; nel dicembre 2011 fu dunque
trasferita in Piazzetta Bini 5 la comunità per minori “Il Gabbiano 2”.


I funzionari della Regione, che hanno seguito la realizzazione di case famiglia e comunità alloggio attraverso i finanziamenti  pubblici, richiedono i primi mesi del 2013 con fermezza, di utilizzare la struttura Rosanna Benzi come previsto dal progetto originale, quindi per l’accoglienza di persone con gravi disabilità motorie. I nove ragazzi minori si trasferiscono entro la fine del 2013. Da pochi giorni abbiamo avuto notizie dell’autorizzazione di due persone disabili ad entrare nella comunità.

Quello che chiediamo di sapere è se la Regione e l’Azienda Sanitaria Locale intendano finanziare il pieno utilizzo di una struttura di eccellenza, per consentire un nuovo progetto di vita per persone con disabilità, gestita dalla cooperativa Il Gabbiano che è disponibile a formare parte dei loro operatori  avvalendosi della competenza del personale del Centro Riabilitativo Borsalino. Su nostra richiesta il dott. Salvatore Petrozzino, Capo Dipartimento della struttura, ha già dichiarato la sua disponibilità.
Solo in questo modo potremmo finalmente essere davvero di aiuto a chi chiede un’opportunità di un nuovo e positivo inserimento nella nostra società per uscire da una condizione di isolamento e vivere, anziché sopravvivere, come accade ora.

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