Autore Redazione
martedì
16 Maggio 2017
05:00
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Politica

Sentenza della Cassazione sui migranti: i commenti in provincia

La motivazioni della sentenza hanno aperto una serie di considerazioni politiche ed etiche sul tema dei migranti e dell'integrazione.
Sentenza della Cassazione sui migranti: i commenti in provincia

ROMA – “I migranti devono conformarsi ai nostri valori, anche se sono diversi dai loro“. A dirlo ora è la Cassazione, con una sentenza destinata ad aprire un lungo dibattito nella società italiana. La sentenza è stata espressa contro un cittadino indiano di religione Sikh, a cui è stata negata la possibilità di andare in giro con il Kirpan, il tipico coltello “sacro”. Ma le sue implicazioni sono ben più ampie, perché le motivazioni della sentenza toccano tutte le delicate questioni fondamentali che riguardano la crisi dei migranti degli ultimi anni. Il giudice ha infatti stabilito che “se l’integrazione non impone l’abbandono della cultura di origine, in consonanza con la previsione dell’art. 2 della Costituzione che valorizza il pluralismo sociale, il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante“.

E la politica si è subito divisa tra pro e contro. Si è di nuovo accesa la polemica, già caldissima, che da tempo vede uno scontro tra i sostenitori del modello multiculturale e dell’assistenza e i fautori del “non possiamo ospitarli tutti e mettere a rischio la nostra identità”.

Anche nella provincia di Alessandria, dove tra l’altro la settimana scorsa si è svolto un maxi-raduno della comunità Sikh a Pontecurone, sono arrivate le reazioni. Un commento autorevole è quello di Roberto Mazzola, professore di Diritto Ecclesiale e Canonico all’Università del Piemonte Orientale. Mazzola, in viaggio per lavoro, ha potuto leggere uno stralcio di sentenza dal quotidiano Repubblica, e da lì ha potuto esprimere il suo parere. “A livello generale e astratto“, ha detto, “la sentenza è sacrosanta perché si dice che  il limite invalicabile è costituito dal rispetto dei diritti umani e della civiltà giuridica della società ospitante. Se, però, caliamo questa sentenza al caso di un ragazzo che gira con il kirpan, allora la sentenza non ha senso, non regge e non mi trova d’accordo. Ci sono altre decisioni di altri tribunali per cui, girare con il kirpan, non è reato perché non si configura giuridicamente come arma bianca e non può seguire la normativa sul porto d’armi. I problemi non sono di carattere giuridico, ma sociali ed etici. C’è una crescente insofferenza verso chi ha culture e usi diversi da noi. Ma lo schema applicato dalla Cassazione, per quel poco che conosco della sentenza, non regge, perché il kirpan non offende in nessun modo i diritti umani delle persone. Il problema non esiste nemmeno nella convivenza: i Sikh sono ben integrati e hanno un approccio culturalmente pacifico. Tra l’altro da anni il Ministero degli Interni lavora con le comunità Sikh per creare un kirpan che sia riconosciuto essenzialmente come simbolo religioso“.

È una sentenza brutta e discriminatoria” ha invece detto Gurmukh Singh, giovane Sikh di Pontecurone, “il kirpan è un simbolo religioso, se non lo porti non sei un fedele a tutti gli effetti. Non si usa per offendere e, anzi, ora li portiamo piccoli, mentre un tempo erano più grossi. Non facciamo male a nessuno, non si è mai letto di un attacco col kirpan, anche perché non sono veri pugnali e non sono affilati. Io da 10 anni ho il permesso dalla prefettura, che mi ha autorizzato a portarlo. Sono andato in ambasciata indiana per il rilascio di un foglio e poi sono andato in prefettura: hanno chiamato la mia ambasciata e hanno accertato che il coltello serve per motivi religiosi e quindi ora posso portarlo senza problemi. Molti, però, non sanno che si può fare in questo modo e ricevono multe o denunce“.

Il kirpan, coltello sacro per la religione Sikh Copyright: Gurusgift

Gurmukh ha anche voluto spiegare il significato del kirpan, su cui ha sentenziato in modo negativo la cassazione. “Ai tempi della dominazione turca, secoli fa“, ha chiosato, “c’erano le conversioni forzate all’Islam, e allora i nostri guru ci hanno dato il coltello per difenderci. Con il tempo è diventato un simbolo di difesa verso i deboli, completamente pacifico, e portarlo rappresenta un atto religioso a tutti gli effetti“.

La sentenza, però, continuerà ad avere eco più profondo nel dibattito italiano. Dal caso specifico, infatti, si è spostato a un livello più generale, con possibili ricadute su tutti i migranti.

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