Autore Redazione
sabato
28 Ottobre 2017
07:00
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Eventi - Ovada

Una storia che viene dal Mediterraneo. Recensione di “Il sultano e la cicala”

Sabato 28 ottobre la replica ad Ovada del nuovo monologo di Ian Bertolini
Una storia che viene dal Mediterraneo. Recensione di “Il sultano e la cicala”

OVADA – Il Mediterraneo da costa a costa divide ed unisce, oggi come un tempo, ed è luogo di incontri, scontri e separazioni. E’ in questa non terra, bensì acqua di mezzo che hanno preso corpo fatti e leggende. Tra queste, la storia di Scipione Cicala, il Sinàn Capudàn Pascià  della canzone di De Andrè, argomento di “Il sultano e la cicala”,  monologo di Ian Bertolini, andato in scena venerdì 27 e in replica sabato 28 ottobre alla Loggia di San Sebastiano, con inizio alle ore 21.15 e ingresso libero.

Il luogo è antico, ricavato all’interno di una ex chiesa medievale. Gli affreschi alle pareti sono tracce incomplete, come la documentazione che riguarda la vita del Cicala, figlio di un marinaio genovese di nobili origini, corsaro agli ordini di Carlo V nel XVI secolo.  Il quindicenne Scipione Cicala, imbarcatosi al seguito del padre,  venne imprigionato al largo di Jerba dai turchi e, grazie alla sua intelligenza, o forse alla sua bellezza, assunse cariche sempre più importanti nell’impero ottomano, diventando famoso e leggendario.

Nel testo, scritto, diretto e interpretato da Bertolini, la storia di Sinàn Capudàn Pascià esce inizialmente da una conchiglia, dalla quale si ascolta il rumore del mare, che tutto assorbe e poi restituisce. Da qui parte una narrazione sorretta da una solida documentazione storica e dall’intento di divertire. I mezzi sono le diverse parlate dialettali, il continuo sdoppiamento in più personaggi, gli ammiccamenti al pubblico e una concatenazione di sfortunati, comici eventi. Prevalgono il tono fiabesco e il vernacolo. Il primo ricorda, con l’inizio in forma di filastrocca a rime baciate, la tradizione dei giullari, mentre la parlata dialettale si moltiplica. Si passa dal genovese enfatizzato e semplificato, al veneziano, al siciliano (che caratterizza, in questo caso con sfumatura drammatica, la madre del Cicala, turca montenegrina a sua volta catturata, forzatamente convertita al cristianesimo e vissuta a Messina). L’effetto è caleidoscopico, perché composto da tante tessere che continuano a muoversi e a combinarsi diversamente. Bertolini si prodiga in mille personaggi, cambia voce, canta, si sposta da un lato all’altro della scena che è divisa in oriente (simboleggiato da un arco trilobato) e occidente (il trono papale). In mezzo il mare e pochi elementi che suggeriscono una nave. Tra farsa, coinvolgimento del pubblico, liaison storiche reali e supposte, il filo narrativo non si perde e il ritmo funziona.

Nel complesso un testo ricco e dai tanti spunti, che si chiude con una speranza di 300 anni fa e che, ancora oggi, resta disattesa: il Mediterraneo come luogo di incontro e di comprensione tra diverse culture.  Tutto esaurito venerdì alla Loggia di San Sebastiano e decisamente molto divertito il pubblico.

 

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