Autore Redazione
mercoledì
31 Gennaio 2018
07:30
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Eventi - Piemonte

“Tre studi per una crocifissione” di Danio Manfredini allo Spazio Kor

Intervista al pluripremiato maestro del teatro italiano, ad Asti per la Rassegna “Le sfide della fede”
“Tre studi per una crocifissione” di Danio Manfredini allo Spazio Kor

ASTI – E’ con Danio Manfredini, eccezionale protagonista del teatro italiano, che prosegue la rassegna “Le sfide della Fede”, incentrata sulla tematica delle sfide della Fede e della cultura nel nostro tempo, promossa dall’Istituto Oblati di San Giuseppe e dal Progetto Culturale della Diocesi di Asti, con la direzione del Teatro degli Acerbi.

Venerdì 2 febbraio, alle 21, allo Spazio Kor,  sarà in scena “Tre studi per una crocifissione”, uno dei capolavori del pluripremiato attore-autore-regista-cantante e formatore teatrale.

Manfredini è stato definito “il maestro invisibile” per il suo percorso artistico straordinario e fuori dai canoni consueti, ha meritato ben tre premi UBU con opere assolute come “Miracolo della rosa” (premio UBU 1989), Al presente” (premio UBU come miglior attore) e “Cinemacielo” (premio UBU come miglior regista). Un quarto Premio Speciale UBU 2013 lo consacra “…uno dei rari maestri in cui diverse generazioni del teatro si possono riconoscere”.  Sempre nel 2013 riceve il Premio Lo Straniero come “maestro di tanti pur restando pervicacemente ai margini dei grandi circuiti e refrattario alle tentazioni del successo mediatico”, che riconosce l’originalità e la forte motivazione delle sue scelte artistiche e professionali. Anche pittore e cantante,  ha collaborato nel suo iter professionale con Pippo Delbono , Raffaella Giordano e alcuni danzatori del Tanztheater di Pina Bausch e tutto ciò è evidente nella densità artistica dei suoi spettacoli. A questa contaminazione artistica e a questa ricchezza attinge “Tre studi per una crocifissione”,  ispirato ad un dipinto del pittore irlandese Francis Bacon.

Danio Manfredini, “Tre studi per una crocifissione” è ispirato al trittico di Francis Bacon. Come è nato lo spettacolo?

La questione del quadro si è inserita nella fase di lavorazione. E’ un lavoro del ‘92, allora lavoravo su tre cose in contemporanea. Volevo scrivere un testo psichiatrico, al contempo ero molto attratto dal film “Un anno con 13 lune” di Fassbinder e, in quel momento, un altro testo mi chiamava: “La notte poco prima della foresta” di  Bernard-Marie Koltès. Leggendo “Francis Bacon – La brutalità delle cose. Conversazioni con David Sylvester”, delle interviste in cui l’artista parlava molto dei trittici come possibilità di far vivere in una stessa dimensione visiva tre soggetti diversi, decisi di mettere le tre storie insieme. Si chiamano tre studi perché sono tre personaggi che attraversano tre destini drammatici (il primo è un malato psichiatrico, il secondo un transessuale, il terzo un extracomunitario solo e sperduto nella notte), in una dimensione di smarrimento e di emarginazione sociale. E’ una crocifissione perché capivo che era riferita all’attore che attraversava questi destini.

Come vengono delineati i tre personaggi, ci sono riferimenti visivi al trittico?

Non mi sono riferito visivamente ai quadri, non era mia intenzione riprodurre un piano pittorico. Bacon parlava di come guardava i soggetti da ritrarre. Era importante per lui cogliere gli aspetti emotivi e sottili, un po’ impercettibili che amplificava con la pittura. Mi sono proposto di amplificare gli aspetti che lo avrebbero facilitato nel dipingere questi soggetti. Lo scopo era risalire al soggetto che lui avrebbe potuto dipingere.

Sono figure molto contemporanee

Allora sembrava un lavoro che affrontava soggetti molto particolari, adesso sono molto più consueti. Per me, più che un’intenzione sociale di denuncia, si tratta di un’amplificazione di stati che questi esseri attraversano e che appartengono un po’ a tutti. Si tratta della solitudine, dell’isolamento, della mancanza di amore: una condizione comune. Queste figure la amplificano e sono fragili perché non nascondono la loro vulnerabilità. I quadri sono specifici, ma i sentimenti sono comuni e vale quello che diceva Pina Baush: “sono interessata agli uomini e ai loro sentimenti”

Il pubblico è spinto ad una meditazione?

Il teatro ha sempre a che fare con una sorta di meditazione. C’è il teatro molto spettacolare e quello che richiama ad una riflessione sulla condizione umana e sulla presa di consapevolezza dei destini. Queste figure mettono di fronte al senso dei destini.  Camus, parlando di Sisifo, diceva di voler immaginare che, mentre questi appoggia la guancia al masso, riconosca la forma del suo destino e perciò “bisogna immaginare Sisifo felice.” Nel suo saggio “Il mito di Sisifo” il filosofo francese  parte dal giudicare questi un condannato, fa un ampio squarcio sul lavoro degli attori (il cui lavoro, specialmente nel teatro dove non resta neppure una pellicola, sembra non lasciare niente, come quello di Sisifo), e alla fine arriva a concludere che la felicità non è una condizione necessariamente legata alla gioia, ma all’accettazione del destino.

E lei attraversa e accetta il destino dei tre personaggi?

 Sì, diciamo che sono contento di attraversare questa possibilità. E’ peculiarità degli attori la necessità di vivere più vite, entrare in più dimensioni immaginative e non credere che l’identità sia quella che si disegna nelle circostanze in cui siamo. E’ illusorio pensare che siamo ciò che la società ci ha dato dandoci un posto o l’altro. L’attore crede alla possibilità che la sua identità possa spargersi, nascondersi e identificarsi in altri tipi e condizioni di vita. E’ quella che Pasolini chiamava “una disperata vitalità”.

È cambiato nel tempo lo spettacolo?

Ha avuto varie trasformazioni strada facendo. Per esempio all’inizio il primo studio era quello del paziente, seguito da  Koltès e poi Fassbinder. In seguito in mezzo ho messo Fassbinder e poi Koltès. Il lavoro è stato fermo per circa cinque anni, poi l’ho ripreso nel 2006 e ho dovuto ridipingerlo, arrivando alla versione che è l’attuale. La radice è sempre quella, ma nel tempo c’è una domanda sempre aperta che approccia al lavoro in maniera diversa. Ogni volta non è scontato come attraversarlo, si cerca sempre di andare non in una dimensione di  offerta, ma di ascolto, di conoscenza.

La rassegna è sostenuta dalla Fondazione CRAsti e dalla Fondazione CR Torino,per la prima volta dall’Asp (Asti Servizi Pubblici) e da numerose aziende locali che negli anni hanno creduto nel progetto (Unogas Energia, Impresa edile Bosso Mario, Casa di Riposo Mons. Marello, F.lli Ragazzon s.n.c.,  Impianti elettrici Calosso e Siccardi e Euroristorazione, Cattolica Assicurazioni Agenzia di Asti e Farmacia Liprandi), nelle sue positivi riscontri e ricadute sul territorio. Tra i partner la Pastorale Giovanile della Diocesi di Asti, la Pastorale Universitaria, la Biblioteca del Seminario Vescovile di Asti e Uni-Astiss Polo Universitario. Lo spettacolo è realizzato da La Corte ospitale con la collaborazione al progetto di Andrea Mazza, Luisella Del Mar, Lucia Manghi e Vincenzo Del Prete.

L’ingresso è gratuito. Per info: cell. 3392532921 – info@teatrodegliacerbi.it – www.teatrodegliacerbi.it

 

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