Autore Redazione
sabato
1 Dicembre 2018
11:30
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Eventi - Valenza

La verità in scena. Recensione di “Il giardino dei ciliegi” a Valenza

Molto applaudito il teatro-verità della compagnia Kepler-452 intrecciato con il capolavoro cechoviano.
La verità in scena. Recensione di “Il giardino dei ciliegi” a Valenza

VALENZA – La verità ha tante espressioni, si rivela attraverso un classico del teatro e la sua immortalità, ma può anche irrompere sulla scena nella sua forma originale e totalmente sincera.

E’ partita da questa intuizione la compagnia Kepler – 452 per l’ideazione (di Nicola Borghesi, Paola Aiello, Enrico Baraldi) de “Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso”, molto applaudito venerdì 30 novembre al Teatro Sociale. In scena, insieme a Nicola Borghesi (che ne ha anche curato la regia),  Paola Aiello e Lodovico Guenzi, frontman dello Stato Sociale,  ci sono Annalisa e Giuliano Bianchi, la cui storia vera è intrecciata con quella del capolavoro cechoviano. Il risultato è un duplice piano che accomuna la Russia prerivoluzionaria con la Bologna di oggi, l’abbandono del giardino dei ciliegi, luogo del ricordo e della felicità, con lo sgombero di una casa colonica di periferia.

La casa, concessa in comodato dal comune, è quella dove Annalisa e Giuliano hanno vissuto per trent’anni, prima di essere sgomberati (Giuliano preferisce dire “deportati”) nel 2015. Non era una semplice abitazione, ma un piccolo mondo dove la coppia lavorava in collaborazione con il servizio veterinario locale per il controllo della popolazione di piccioni e ospitava e curava tantissimi animali di ogni razza, altrimenti privi di collocazione. Tra gli ospiti anche tanti ex detenuti, a svolgere un compito di reinserimento sociale. Insomma, un avamposto di grande accoglienza, magari poco noto, ma indispensabile e unico, ora non più esistente per lasciar spazio a FICO, un omologatissimo parco tematico sul cibo, quanto di più globalizzato pensabile.   Sul palco Annalisa e Giuliano raccontano la loro vita e leggono, seguendo le indicazioni di Borghesi, battute di Ljuba e Gaev, i due aristocratici in rovina della pièce cechoviana, costretti a vendere all’asta la loro casa e il loro giardino. Non recitano, leggono come farebbero con un articolo di giornale, sono loro stessi e, proprio per questo, la loro storia personale è sempre presente.

La genialità registica sta nel rischio di portare sulla scena le vicende vere narrate da chi le ha vissute, costruendovi uno spettacolo insieme ad un cast di professionisti. Come in una pièce in fieri, Borghese attribuisce loro le parti e li fa vestire con pellicce (siamo in Russia), mentre Paola Baraldi suggerisce  il dipanarsi degli atti e dei luoghi de “Il giardino dei ciliegi”. Su tutto prevalgono sempre il dialogo, l’amicizia, la narrazione  dell’incontro con la coppia e la scoperta della loro vicenda, inserita nei tanti sgomberi degli ultimi anni a Bologna. La verità vince, emerge attraverso le pareti delle gabbie in scena, quelle delle voliere dei tanti uccelli curati e poi liberati da Giuliano, attraverso i mobili e i cartoni accatastati che parlano di un abbandono. Emerge con una tragicità mai gridata, sedimentata nell’indignazione di Giuliano e nella dolcezza di Annalisa, nella loro parlata bolognese e nell’empatia che sanno ispirare. Dall’altra parte, il comune, nell’impersonalità di un telegramma firmato “Capo area benessere di comunità”; lo stesso ruolo è giocato nel testo di Cechov da Lopachin,  arricchito figlio di servi che acquista all’asta il giardino dei ciliegi, cui dà corpo un formidabile Lodovico Guenzi. A lui il compito di contestare il punto di vista “buonista-comunista”, che oppone la bontà del piccolo alla malvagità del grande, per ritornare all’amicizia e all’umanità. Il limite da lui denunciato e invalicabile, pur nella comprensione,  è quello innato e borghese di “Una vita in vacanza”,  la canzone da lui cantata e tante volte programmata proprio nel famigerato FICO.

La verità vince su tutto in “Il giardino dei ciliegi. Trent’anni di felicità in comodato d’uso”, vince la sfida e premia il rischio che va ben al di là delle contaminazioni misurate e ben calibrate cui il teatro contemporaneo ci ha abituati. Il risultato è di forte impatto, valorizza una storia che entra con prepotenza nella coscienza e non adombra il valore del testo di Cechov, quanto mai attuale. Ci vogliono coraggio, convinzione e talento e si vedono tutti. Promosso a pieni voti.

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