Autore Redazione
venerdì
14 Novembre 2014
11:48
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Eventi - Lombardia

Il metafisico spiritualismo di Chagall

Il metafisico spiritualismo di Chagall

Nella vita proprio come nella tavolozza del pittore c’è solo un colore capace di dare significato alla vita e all’arte: il colore dell’amore” (M.Chagall)

 

La retrospettiva su Marc Chagall di Palazzo Reale offre una straordinaria panoramica sulla geniale poliedricità del lirico pittore ebraico che il Museo Diocesano di Milano con “Chagall e la Bibbia” completa approfondendo il filone biblico, a cui l’artista si era dedicato con passione. 

Le opere esposte al museo Diocesano, infatti, rappresentano scene che si ispirano al “Il libro della natura”, come Chagall chiamava le Sacre Scritture, per lui come per molti altri grandi artisti del passato ‘illuminanti’ “La Bibbia è la fonte cui hanno attinto, come in un alfabeto colorato, gli artisti di tutti i tempi”.

Non é quindi una retrospettiva satellite a quella di Palazzo Reale, ma la integra con un focus sull”iter spirituale di Chagall, sulla ricerca interiore e l’evoluzione mistica.  A Milano va l’onore di essere riuscita con le due retrospettive di ampio respiro internazionale, parallele, di celebrare e consegnarci  Chagall  in tutta la sua complessa, ricca interezza. 

Una sessantina di opere esposte, dipinti, sculture, ceramiche e le inedite 22 goauches o“guazzi”(bozze preparatorie eseguite con tecnica mista, acquarello con tempera), straordinari esempi dell’immediatezza espressiva di Chagall, tasselli del progetto d’illustrazione della Bibbia che gli era stato commissionato dall’editore Ambrose Vollard. “Mi è sempre sembrato e mi sembra tuttora che la Bibbia sia la principale fonte di poesia di tutti i tempi. Da allora, ho sempre cercato questo riflesso nella vita e nell’arte.” Un lavoro corposo che il pittore-poeta, realizzerà tra il  1931 e il 1939  con  più di cento tavole bibliche, di cui sessantasei quasi subito, le rimanenti dopo la seconda guerra mondiale.

La  lirica visionarietà chagalliana traspare anche in queste icone che esprimono il pensiero dell’artista sul dilemma esistenziale, sulla solitudine, sul bene e male, sul rapporto tra uomo e Dio, sul significato del dolore e delle prove. Ed emerge in tutta la sua potenza  il senso religioso metafisico, universale, di un artista capace di trasfigurare il dolore attraverso l’arte. Nelle sue narrazioni ricche di elementi simbolici, di metafore il colore è sempre protagonista, l’accesa cromia, la luminosità o le delicate sfumature evanescenti, colme di poesia e di dolcezza mistica, ci consegnano la visione di un’umanità filtrata dall’anima chagalliana, così pregna di amore e di candore nonostante le tante prove affrontate nella sua vita (persecuzione, esilio). Chagall nel suo ricco dizionario simbologico  associa i colori a un sentimento, a uno stato d’animo o ad un’azione, così il giallo è accomunato alla speranza, il nero al  male, al dramma, il rosso, a seconda delle tonalità sia all’amore che alla violenza, al sangue, il bianco al candore, all’innocenza, il blu allo spirito.

Figure mitiche bibliche, angeli e crocifissioni, opere evocative, di grande pathos e spiritualità ma  lontane dalla classica solenne rappresentazione  sacra.  L’artista pur nei segni appena accennati, nelle delicate pennellate, nella mancanza di prospettiva, in un linguaggio pittorico che intenzionalmente talvolta appare semplice, filtrato dalla vena popolare che faceva parte delle sue radici, riesce a rendere drammaticamente intense le sue opere seppur velate di misticismo.

L’esposizione al Museo Diocesano si caratterizza per un affascinante allestimento, un tunnel scuro, che si rifà alla simbolica arca dell’alleanza (dall’Esodo), sulla parete più avanzata sono esposte le gouaches mentre nelle rientranze le realizzazioni successive delle narrazioni bibliche. L’iter espositivo apre con il grande olio Giobbe (1975), nudo, dall’aria sofferente una mano sul petto, nello sfondo una crocefissione, donne, bambini, uomini e animali sembrano dirigersi verso di lui. La figura  di Giobbe li sovrasta, la scena è pennellata con colori freddi e cupi che evidenziano la drammatica atmosfera di sofferenza alleggerita però dall’angelo blu e dal colore caldo delle vesti di alcune figure, simboli di speranza .

Anche Chagall come Rembrandt, De Chirico e altri artisti è attratto dalla parabola del Figliol Prodigo (1975) che interpreta con una luminosa scena, dal tratto fiabesco che contiene elementi della cultura russa ed ebraica. In uno spazio indefinito, le due figure sono rappresentate nell’atto dell’abbraccio in un’atemporalità e in uno spazio luminoso che appare infinito. Padre e figlio sembrano leggermente sospesi quasi stessero per librarsi in volo. Nello sfondo altri personaggi si muovono e osservano senza invadere la luminosità dello spazio della riconciliazione, si respira una sensazione di serenità, di libertà e di quell’amore incondizionato da cui scaturisce  il perdono.

Nella parte centrale dell’arca l’opera di grande dimensione Il Re David in blu (1967) che simbolicamente rappresenta l’uomo e la sua eterna ricerca di elevazione, attraverso l’amore nella sua accezione più ampia, coniugale, filiale, paterna, della natura o delle piccole cose. La complessa figura del mitico re d’Israele, é cromaticamente dipinto con le stesse tonalità cromatiche di blu del cielo stellato, ricoperto di fiori e sospeso sopra un villaggio e alcune figure mentre suona la sua cetra con  lo sguardo rivolto verso Betsabea che volteggia.

Di grande intensità e potenza evocativa nell’acceso rouge dello sfondo, la scena Il sacrificio di Isacco (1966), l’interpretazione del sacrificio, fedele al racconto biblico, trasmette il sentimento d’amore di Abramo per il figlio e quello incondizionato e reverenziale per Dio. Colpisce lo sguardo addolorato e angosciato di Abramo rivolto a Dio come il pugnale nella sua mano, l’innocente corpo nudo del giovane Isacco e una crocefissione sullo sfondo. Chagall  associa il sacrificio di Abramo a quello di Gesù crocefisso sulla croce, vittima immolata per salvare l’umanità. Interessanti  anche le gouaches come Abramo piange Sara (1931) e la scultura in marmo double face Il sacrificio di Isacco (1968-71)

Nella Crocifissione messicana (1945) colpisce la tenerezza dell’abbraccio davanti al crocifisso, Chagall fu molto criticato per gli elementi cristiani inseriti nelle sue icone, in particolare per le croci e le crocifissioni, come se avesse rinnegato la sua essenza ebraica, niente di più errato. La spiritualità del pittore è universale e assegna a Gesù Cristo il simbolo del dolore di un popolo di fronte alla drammaticità storica dei  tempi, alla malvagità, alla tragedia umana. Di grande effetto nella sua simbologia anche La creazione dell’uomo (1956) con Dio che tiene teneramente tra le braccia l’uomo e gli rivela il suo amore regalandogli la vita .

Nella scena de Il mantello di Noè(1955-56)  un giovane con la barba che per i tratti ricorda il dio Bacco é disteso a terra, nudo, una collina e un vigneto sullo sfondo. L’uomo forse si è addormentato per i fumi dell’alcool ma una figura indistinta, per pietas umana  lo copre con un telo bianco. La figura distesa  metaforicamente diventa il Cristo deposto dalla croce, avvolto in un lenzuolo da Giuseppe di Arimatea come raccontato nel Vangelo dagli apostoli.

Splendido nell’effetto cromatico luminoso la scena de Il Sogno di Giacobbe (1960-66), tratto dalla Genesi che rappresenta nella reinterpretazione chagalliana il sogno di Giacobbe. La visione della scala che sale verso il cielo, gli angeli vicino e la voce di Dio che gli annuncia una numerosa discendenza. Le differenti  varietà cromatiche, da una parte  colori accesi, viola e rosso e dall’altra colori freddi come l’azzurro chiaro sembrano simboleggiare il passato drammatico e sofferto ed il futuro più sereno della stirpe di Giacobbe .

Di grande pathos  anche Mosè riceve le tavole della legge (1950- 1952) la figura biblica emerge dall’oscurità, illuminata dalla luce divina, le sue mani sono protese verso Dio per accogliere le tavole dove sono scritti i dieci comandamenti, secondo l’Esodo. La luce che illumina Mosè vuole simbolicamente rappresentare il percorso di rinascita del popolo ebraico sotto la sua guida.

 

Maria Cristina Pesce Bettolo

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