Autore Redazione
sabato
15 Giugno 2024
12:05
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Tempo Libero - Piemonte

Un luogo e i suoi tempi. Recensione di “Via del Popolo” ad AstiTeatro

Un microcosmo attraverso le tante declinazioni del tempo nella pièce di Saverio La Ruina al Festival Teatrale Astigiano. AstiTeatro, con la direzione artistica di Mario Nosengo, proseguirà sino al 29 giugno
Un luogo e i suoi tempi. Recensione di “Via del Popolo” ad AstiTeatro

ASTI – “E’ sempre una questione di tempo” e il tempo, quello che scorre e quello interiore, perduto e da ricercare, è il tessuto di “Via del Popolo” di e con Saverio La Ruina, presentato ieri 14 giugno ad AstiTeatro nella cornice del cortile del Michelerio. AstiTeatro, alla sua quarantaseiesima edizione, proseguirà sino al 29 giugno e tutto il programma è consultabile su  astiteatro.it.  Qui in programma di questo fine settimana.

“Via del Popolo”, spettacolo premio Ubu 2023, è un viaggio che attraversa una strada e una vita, intreccia la storia familiare del protagonista con quella di una via dagli anni ‘60 in poi. C’è la mutazione evidente da un contesto brulicante di attività e di legami di vicinato ad uno sterilizzato e globalizzato, ma soprattutto c’è il tempo ritrovato, immanente e capriccioso nel suo scorrere.

Tutto inizia su una scena solcata da lumini, che suggeriscono il tracciato di Via del Popolo, ma anche un’atmosfera cimiteriale. La Ruina indossa una giacca bianca da barista e dà le spalle al dipinto (di Riccardo De Leo) di un orologio fuso, appeso come un pendolo e ripreso da “La persistenza della memoria” di Dalì, mentre racconta di una passeggiata al cimitero di Castrovillari insieme ad un amico d’infanzia. Le lapidi aprono squarci di vita, ricordi di sapori di “paste fresche” (sì, proprio come le madeleine, a proposito del tempo perduto e ritrovato), sino al ricordo della perdita del padre del protagonista, che tesse il filo autobiografico della pièce.

E’ un racconto sul filo della memoria, che intreccia italiano e calabrese, dialoghi con il padre, momenti d’infanzia e narrazione ironico-epica (paragonata a “Furore” di John Ford) di una famiglia che dall’entroterra del Pollino si trasferisce a Castrovillari, quasi una metropoli, e apre un bar in Via del Popolo. Pare un flusso di coscienza che scarta in continuazione dal tempo lento al tempo veloce, seguendo una passeggiata lungo Via del Popolo e la sua durata: negli anni ‘60 trenta minuti, tra tappe, bicchierini e convenevoli, poco più di due minuti oggi, in mezzo al nulla e all’anonimato. Ad ogni passo, nel tempo lento ritrovato, negozianti, artigiani e avventori paragonati a personaggi di film, come la quasi intera famiglia Corleone, in un respiro che allarga un paese e ne fa la porta del mondo, come in un romanzo di formazione.

Foto di Franco Rabino

E pare un romanzo “Via del popolo” nel suo aprire episodi, nelle sue descrizioni colorite e vernacolari dei tantissimi personaggi che attraversano, ognuno con il suo tempo, il centro di Castrovillari, nei dialoghi che suscitano immagini estremamente vivide. La Ruina dialoga con il padre e assume la sua parlata lenta, un po’ rassegnata, ma anche risoluta, poi evoca l’immagine sfuggente e affascinante dello zio che gli regala, con un cronometro, l’illusione e la magia di padroneggiare il tempo. Ricorda, come in una sequenza cinematografica al ralenti, il ticchettio dei tacchi delle ammiratissime signorine Giannotti, al cui passaggio tutto e tutti si immobilizzavano in momenti che parevano eterni e tuttavia troppo veloci. Dunque un romanzo dove la coerenza narrativa non si perde mai, dove le mille voci trovano sempre spazio in una trama che ritorna e si ritrova. Protagonisti il tempo, la perdita e la capacità di rievocare alla luce di un filo più logico che nostalgico, con il coraggio di mettere a nudo un lato autobiografico, mescolare una vena ironica e guidare lo spettatore in un vero viaggio che va ben al di là del percorso di un passante in quel microcosmo di Via del Popolo (come non pensare a via Castellana Bandiera o a Via Merulana?).

Le lancette dell’orologio girano e oggi Via del Popolo, svuotata e appiattita come tutti i centri storici, “sembra la collina di Spoon River scivolata in pianura”, illuminata dai lumini sulla scena, in un ritorno ideale alle lapidi del cimitero iniziale. Ma il tempo ritrovato e interiorizzato continua a vivere e la pièce non si scioglie in facile tristezza, ma mantiene la solidità di una narrazione dal ritmo perfetto, che non consente neppure una sbavatura. E’ proprio il tempo ad essere perfetto nella sua liquidità, nelle sue tante declinazioni e nell’invito a viverlo, nell’istante che è ora, è in procinto di essere ed è stato in passato. Questo pare di cogliere in una narrazione che semplicemente accoglie dentro di sé e si vorrebbe continuasse.

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