25 Ottobre 2013
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Buzzi sulle dimissioni forzate del vicesindaco: ‘Trifoglio vittima dell’ottusità burocratica’
Mentre la politica è in fibrillazione per decidere di andrà a colmare i posti lasciati vuoti in giunta, Mauro Buzzi (Presidente Cissaca) interviene sulle dimissioni del vicesindaco Oria Trifoglio. Il suo è un duro attacco alla burocrazia e al modo di interpretare le leggi. Secondo Buzzi la Trifoglio sarebbe stata quindi costretta a compiere una scelta, lavoro o politica, non necessaria. Di seguito la giustificazione alle sue conclusioni:
Oria Trifoglio è costretta a lasciare l’incarico di Assessore ai Servizi Sociali dall’ottusità della burocrazia. Non dalla legge. Mentre qualche funzionario si arroga il diritto di interpretare la legge, senza neanche leggerla, senza neanche approfondire, ad esempio, cosa il legislatore abbia inteso scrivendo quel che ha scritto (ad esempio semplicemente accedendo al dossier di accompagnamento della Legge stessa (http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Testi/AC0126.htm), la Città deve rinunciare ad un assessore competente, attento e puntuale. Io lo trovo di una gravità inaudita. Qui non c’è in gioco un rapporto di fiducia venuto meno o una visione politica incompatibile tra assessore e Giunta o Sindaco (come è avvenuto nei casi di Ivaldi e, prima ancora, di Barberis e Puleio), qui prevale l’ottusità burocratica di un terzo che si erge a giudice senza avere titolo per farlo.
Vorrei provare a spiegare: con la legge delega 190 del 2012 il Parlamento impegnava il Governo a emanare un decreto legislativo (che è il n. 39 del 2013) che disciplinasse i casi di incompatibilità degli incarichi nelle pubbliche amministrazioni, fissando paletti ben precisi, tra questi (art. 50 comma 1, lettera d) di “comprendere tra gli incarichi” esplicitamente le figure di “Direttore Generale, Sanitario e Amministrativo delle aziende sanitarie locali”.
Ha fissato anche altri paletti, che sono dettati dal fatto di dover rispettare l’autonomia regolamentare e statutaria delle Regioni, garantita dalla Costituzioni (il famoso “titolo quinto”), infatti i commi 60 e 61 dello stesso articolo 1 dispongono che l’attuazione della legge nelle Regioni e negli enti sottoposti al controllo delle Regioni stesse (come nel caso delle ASL), compresa l’ “individuazione degli incarichi vietati ai dipendenti” deve essere fatta “attraverso intese in sede di Conferenza unificata”(cioè intesa Stato-Regioni).
Il decreto legislativo, agli articoli 5, 8 e 14 ha disciplinato il regime di incompatibilità relativa agli incarichi di direzione nelle ASL (tenendoli distinti dagli incarichi dalle altre amministrazioni statali, regionali e locali). Il tenore letterale degli articoli è indiscutibilmente rivolto solo ed esclusivamente per quel che riguarda gli incarichi di Direttore Generale, Sanitario e Amministrativo.
Per poter procedere all’applicazione della Legge alle Regioni (e agli enti controllati dalle regioni: ASL e altri), è stata sottoscritta l’intesa Stato-Regioni (che “l’ottuso burocrate” avrebbe potuto trovare sul sito www.unificata.it) in cui le parti definiscono che oltre alle ASL il decreto sulle incompatibilità si applica alle Aziende Ospedaliere e che l’unica figura individuata in aggiunta a direttore generale, direttore sanitario e direttore amministrativo è quella di “direttore dei servizi socio-sanitari”. Punto. Niente primari o dirigenti di unità operative semplici o complesse.
L’Azienda Ospedaliera basa l’argomentazione della incompatibilità della d.ssa Trifoglio citando un parere della Civit (la Commissione per la Valutazione, la Trasparenza e l’Integrità delle amministrazioni pubbliche) che rispondeva a diverse sollecitazioni di altre aziende sanitarie.
Peccato che si tratti, appunto, di un “parere” per niente vincolante (ma anche qui emerge uno dei tanti difetti della burocrazia italiana: le “Autority” che travalicano i propri limiti e tendono a sostituirsi al legislatore), peccato – soprattutto – che questo parere sia stato redatto una settimana prima dell’intesa Stato-Regioni (questa sì che ha valore di legge) che è del 24 luglio.
Invece no. L’Azienda ha preso per buono il parere dell’autority , ignorato la legge e dato semplicemente un aut-aut. E, comprensibilmente, la d.ssa Trifoglio ha scelto per la professione di una vita. L’azienda poteva fare altrimenti? Sì. Credo di averlo dimostrato citando leggi, documenti e fonti. Avrebbe potuto approfondire, dal 24 luglio a ieri il tempo c’era, e se proprio avesse ritenuto di affidarsi a pareri di terzi avrebbe potuto coinvolgere chi può effettivamente dare l’interpretazione di una legge emanata dal governo (il Dipartimento Funzione Pubblica).