Autore Redazione
venerdì
28 Novembre 2014
06:07
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Eventi - Alessandria

Un’epoca e una star. Recensione de “Il mio nome è Milly”

Un’epoca e una star. Recensione de “Il mio nome è Milly”

ALESSANDRIA – La vita e la carriera di Milly attraverso le sue canzoni, la sua voce e un’epoca che l’ha elevata al ruolo di star. Questo il tema de “Il mio nome è Milly”, recital di Gennaro Cannavacciuolo, accompagnato al pianoforte da Vicky Schaetzinger, presentato al Teatro Alessandrino giovedì 27 novembre.

Sullo sfondo di una scenografia luccicante da varietà, davanti alla quale campeggiano delle gigantografie di Milly, che vengono girate in momenti particolari dello spettacolo, Gennaro Cannavacciuolo cita i fatti importanti della vita dell’artista alessandrina.

Il suo esordio nel varietà degli anni ’20 (epoca in cui le donne appartenevano alle due categorie distinte di “oneste” e “poco di buono”) viene accompagnato dalle prime canzoni ingenuamente licenziose (“Era nata a novi “, “Mutandine di chiffon”).  L’interpretazione di testi a doppio senso, composti per una voce femminile, anche se roca come quella di Milly, è sorprendente da parte di un uomo. L’effetto è molto credibile e accompagnato da una gestualità sensualmente esplicita che immerge in un’epoca in cui questo era richiesto al teatro: la licenziosità altrove repressa.

Al varietà Maffei di Torino Milly è “una stella eccentrica”, il suo carattere volitivo la rende unica e di lei si innamora Umberto I. La relazione tra i due è passionale e intensa, ma è troncata dalla disapprovazione di Vittorio Emanuele e del partito fascista. La cantante viene allontanata e forse questo segna l’inizio di un destino luminoso per la carriera, ma solitario dal punto di vista sentimentale.

Attraverso le parole del protagonista e la viva voce di Milly, in un’intervista registrata, si attraversano i decenni sino alla svolta teatrale con Brecht, per la regia di Strehler al Piccolo di Milano.

Le canzoni più famose de “L’opera da tre soldi” (la “Ballata della schiavitù sessuale”, “Surabaya Johnny” e la “Ballata di Mackie Messer”) sono cantate con tutta la gestualità femminile della perdizione e la disperazione che può esprimere una donna abbandonata e sfruttata.

In questa seconda parte di spettacolo emerge la personalità matura della cantante/attrice, volitiva e singolare nelle scelte, sempre orgogliosa della propria libertà.

Molto differenti i toni nell’ambito della serata. La buona capacità del protagonista di ricreare un’epoca ormai lontana compensa le canzoni dalla musica e dal contenuto oggi datati (difficile esserne coinvolti), mentre la difficoltà dei brani di Brecht e le belle canzoni d’autore segnano i momenti più significativi dello spettacolo.

Un’interpretazione singolare, che esalta il lato maschile delle canzoni di Milly, i cui testi trasudano una condizione femminile dettata dal punto di vista dominante dell’uomo, sia nelle canzonette che deridono la volubilità della donna,  che nei brani teatrali da femmina di malaffare.

Vorrei morire cantando , perché soltanto sul palcoscenico sento di avere quei vent’anni che nella vita non ho avuto mai”.

Nello splendore della carriera al suo apice, questo pare un testamento spirituale che rivela il prezzo della gloria.

Uno spettacolo che, celebrando Milly, consacra la bravura di un interprete di gran classe.

Nicoletta Cavanna

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