10 Ottobre 2019
14:43
Da Plauto sino a noi. Recensione di Anfitrione alla Festa del Cristo
ALESSANDRIA – La Festa del Cristo ha rivelato anche un’anima teatrale con Anfitrione, tratto dalla tragicommedia di Plauto, presentato ieri, mercoledì 9 ottobre, al Centro d’Incontro Quartiere Cristo. Prodotto dal Teatro della Juta con la regia di Luca Zilovich, lo spettacolo, nuovissimo, ha recentemente debuttato nel teatro antico della zona archeologica di Libarna e sarà replicato al Teatro di Gavi il 22 febbraio, nell’ambito di Superhuman, il duplice cartellone (al Teatro della Juta di Arquata e al Teatro di Gavi) della stagione Orange Festival curata dall’Associazione Commedia Community.
Andare a vedere un testo di Plauto oggi significa scoprire quali dei tanti spunti offerti da un’opera archetipica il regista abbia deciso di evidenziare, quale sia il rapporto tra rispetto dell’originale e necessaria modernizzazione e cosa possa arrivare di ciò allo spettatore. Nella tragicommedia Zeus prende le sembianze del generale tebano Anfitrione, assente perché in guerra, per sedurne la fedele moglie Alcmena, mentre Mercurio, nell’accompagnarlo, assume l’aspetto del suo servo Sosia. Gli equivoci, le gelosie e gli alterchi che ne deriveranno saranno sciolti da un finale che, alla nostra sensibilità moderna, appare una beffa, ovvero dal dio stesso che impone il suo volere ai mortali, persino accusati di malevolenza e rancore.
In scena, insieme allo stesso Zilovich, Giacomo Bisceglie e Sofia Brocani, entrambi con alle spalle un curriculum nella commedia dell’arte ed entrambi convincenti nel dare vita a personaggi che ancora oggi fanno ridere e parlano di beffe ed ingiustizie. Tre protagonisti per più ruoli e un escamotage iniziale di accordo per la suddivisione delle parti, mentre Mercurio viene confuso con Mercuzio (e si fa un salto fino a Shakespeare) e i riferimenti al vero-falso, dentro-fuori e antichità-presente sono molti. La contestualizzazione remota (già nell’originale, poiché di tempo degli dei e degli eroi si tratta) è ben introdotta e poi conclusa da un canticum (in latino e con tanto di invocazioni pagane) accompagnato da clarinetto, ukulele e tamburello. Ci si immerge così in un non tempo dove tutto può accadere e dove il comportamento licenzioso e prepotente di un dio è legge da rispettare e persino onorare. Nulla di più lontano da noi, eppure Sosia, il servo così simile ad uno Zanni, è “il personaggio che rappresenta il popolo” (così è definito in quanto capro espiatorio) e la sua maschera, nell’ottima interpretazione di Bisceglie, diventa credibile e persino commovente, oltre che spassosa. Così Alcmena/Brocani travalica il tipo della casta matrona per assumere una dignità moderna, da donna consapevole di sé e forse unica depositaria di capacità raziocinante. A Zilovich l’arroganza onnipotente di Zeus e la gelosia irosa di Anfitrione, in un gioco di doppio ruolo dal ritmo sostenuto, con un accenno al “mi vendo…un’altra identità” di più recente memoria.
L’allestimento del Teatro della Juta preserva il principio primo del risum movere, non snatura il testo e azzarda un’operazione che attraversa la storia. Si conferma lo stile registico di Zilovich, che attinge ai canoni della commedia dell’arte, in questo caso declinati su un’opera antica da cui tutto ha avuto origine, per rivitalizzarli e creare un linguaggio nuovo e giovane. Il risultato è una rivisitazione, dall’antichità in poi, dei tipi umani immutabili, del tema del doppio e dell’uso della maschera. Si esce con la sensazione di aver attraversato qualche secolo della storia del teatro, ritrovando un fondo di verità che appartiene al genere umano e sta al fondo delle risate che scaturiscono dalle migliori commedie.
Un allestimento tanto divertente quanto intelligente. Da non perdere.