9 Aprile 2021
18:45
Come funziona l’innovativo trattamento Car-T contro i tumori usato all’Ospedale di Alessandria
ALESSANDRIA – Una nuova terapia genica arriva all’Ospedale di Alessandria. La prossima settimana un paziente del reparto di Ematologia inizierà il percorso per venir sottoposto a un innovativo trattamento attualmente praticato in Piemonte solo ad Alessandria e alle Molinette di Torino. In tutta Italia ci sono altri 11 centri ospedalieri autorizzati a eseguire questa terapia frutto dei progressi scientifici nel campo della biotecnologia cellulare e molecolare. La terapia vedrà coinvolti i reparti di Ematologia e Medicina trasfusionale.
La Medicina trasfusionale, dopo avere superato anche un percorso di qualificazione da parte delle aziende multinazionali che producono il nuovo farmaco (Novartis e Gilead), è infatti pronta per eseguire il trattamento Car–T (Chimeric antigen receptor) in cui i linfociti T prelevati a un paziente vengono reinfusi nel suo organismo dopo essere stati modificati geneticamente in laboratorio per potenziare l’azione contro il tumore. “Siamo di fronte a una terapia che ha una eccellente probabilità di successo. Il paziente viene sempre valutato dall’Ematologia. Quando è il momento, allora entriamo in scena noi. Dopo avere prelevato le cellule del paziente, le inviamo al centro di produzione dove avviene la ingegnerizzazione. Geneticamente modificate in laboratorio, al termine di un mese circa di preparazione, le cellule sono trasformate in un farmaco (viene infatti consegnato alla Farmacia dell’ospedale che a sua volta lo invia al centro trasfusionale) che verrà somministrato al paziente. Le cellule addestrate a combattere la leucemia sono pronte così a colpire il bersaglio“, ha spiegato il direttore di Medicina Trasfusionale Roberto Guaschino.
Le Car-T sono nuove terapie personalizzate contro il cancro che agiscono direttamente sul sistema immunitario del paziente per renderlo in grado di riconoscere e distruggere le cellule tumorali. Utilizzano i linfociti T, estratti da un campione di sangue del paziente, modificati geneticamente e quindi “ingegnerizzati”. L’innovativa tecnologia è stata inizialmente sviluppata dall’Università della Pennsylvania e il primo trattamento è stato somministrato nel 2012 negli Stati Uniti. Utilizzando un virus inattivato (vettore virale), viene aggiunto al Dna dei linfociti un gene ricombinante che permette di esprimere sulla superficie dei linfociti T una proteina, nota come recettore dell’antigene chimerico (Car). Grazie a questo recettore, i linfociti T modificati sono in grado di riconoscere un antigene specifico presente sulla superficie delle cellule tumorali e legarsi a esse. Le cellule Car-T vengono moltiplicate in laboratorio, congelate e successivamente inviate al centro che dovrà somministrare il trattamento.
Un altro esempio di ricerca clinica applicata all’attività quotidiana è quella del plasma iperimmune per la cura dei pazienti covid. Al centro di due studi clinici e di altri due cui l’azienda ospedaliera di Alessandria ha aderito insieme ad altre strutture, oggi si iniziano ad avere numeri importanti. “Su una settantina di pazienti trattati i dati preliminari confermano una riduzione della mortalità, si attesta intorno a meno della metà dei casi, a patto che il trattamento avvenga nell’arco di 48-72 ore dal ricovero in ospedale. La ‘finestra’ temporale a disposizione non è molto ampia. L’intervento precoce è decisivo per una positiva evoluzione della malattia“, ha aggiunto Roberto Guaschino. “Il trattamento è legato alle donazioni di plasma da parte di persone guarite dal Covid-19 e la sua successiva somministrazione a pazienti affetti da Covid-19. Per capire se può essere donato con efficacia deve essere prima svolto un esame sierologico. E, lo ricordo, un vaccinato non può essere donatore di plasma“.
Il reparto è articolato in due settori: settore donatori e aferesi, si occupa delle donazioni di sangue, di emocomponenti in aferesi ed effettua la raccolta di cellule staminali periferiche da donatori e da pazienti, e settore laboratori. “La donazione di cellule staminali emopoietiche, sia autologhe, sia allogeniche, da donatore familiare e da donatore da registro, sono fondamentali per i trapianti, siamo attestati su una media di un centinaio all’anno, e il trend è in crescita”, ha concluso Guaschino.