11 Luglio 2022
05:56
“Approvare lo Ius Scholae sarebbe un passo avanti di civiltà”. La storia di Alexandra
ALESSANDRIA – Ormai da diverso tempo l’Italia si sta interrogando su come riuscire a integrare, anche dal punto di vista amministrativo e non solo sociale, i tanti cittadini stranieri che hanno scelto il nostro Paese per costruire una famiglia o rifarsi una vita. Premesso che esiste un iter burocratico – piuttosto lungo e complesso – per richiedere la cittadinanza italiana ben descritta sul sito del ministero dell’Interno, la politica si è chiesta come sburocratizzare tutto l’apparato per rendere più agevole ottenere l’uguaglianza di diritti per chi da tempo risiede sul territorio nazionale.
Il primo tentativo, abbozzato e mai veramente concretizzato, è stato quello dello Ius Soli. Ovvero l’acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Ne nacque una levata di scudi che portò tale proposta a venir accantonata ma non dimenticata. Ecco che recentemente l’argomento è tornato prepotentemente d’attualità anche se sotto un’altra veste: quella dello Ius Scholae. Si tratta di un testo di riforma sulla cittadinanza che costituirebbe un’importante passo avanti per il riconoscimento dei diritti di tanti bambini e adolescenti a cui, oggi, sono invece negati alcuni importanti diritti.
Basti pensare che con lo Ius Scholae circa 280 mila ragazzi acquisirebbero la cittadinanza. A rivelarlo l’ultimo rapporto dell’Istat. Il dato comprende coloro che soddisferebbero i requisiti previsti nella proposta di legge, ovvero la nascita in Italia o dell’arrivo prima del compimento dei 12 anni, più la continuità della presenza e frequenza di 5 anni di scuola. Al primo gennaio 2020 (quindi meno di due anni fa) sono oltre 1 milione i minorenni nati in Italia da genitori stranieri (di seconda generazione in senso stretto), il 22,7% dei quali (oltre 228 mila) ha finora acquisito la cittadinanza italiana.
Abbiamo affrontato questo delicato argomento con Alexandra, 22enne cittadina rumena ma che dall’età di 7 anni si trova in Italia e per la precisione ad Alessandria dove ha frequentato tutte le scuole diplomandosi al Liceo Classico. “Adesso però frequento l’università a Torino. Mi voglio laureare in Farmacia. Sono cinque anni belli tosti che spero di portare a termine nel migliore dei modi“, ci racconta.
DOMANDA: Come sei arrivata ad Alessandria?
RISPOSTA: Seguendo i miei genitori, arrivati in Italia per lavorare. Un fatto piuttosto comune in un mondo globale e globalizzato come quello in cui ci troviamo.
D: E quando sei arrivata avevi 7 anni.
R: Esatto. Ho iniziato subito le scuole elementari seppur un po’ in ritardo. Questioni burocratiche e di adattamento alla lingua. Ma mi sono ambientata bene e in fretta. Del resto per un bambino è più semplice rispetto a un adulto.
D: E come mai, nonostante sei in Italia da così tanto, non hai mai fatto richiesta per la cittadinanza.
R: Semplicemente una svista personale. Nel senso che ormai io mi senso italiana a tutti gli effetti. La mia vita è qui sono rumena di nascita ma al 100% italiana d’adozione. C’è un iter burocratico piuttosto complesso e, al momento, lo studio e le altre attività extrascolastiche hanno sempre avuto la meglio. Però posso dire che la voglia di sentirmi italiana a tutti gli effetti è molta.
D: Certo, con lo Ius Scholae l’iter sarebbe stato meno tortuoso e soprattutto lungo.
R: Decisamente. Quella della Ius Scholae è una legge giusta perché permetterebbe a tanti ragazzi che da tempo vivono in Italia di far definitivamente parte integrante di questo Paese.
D: Perché la ritieni una legge giusta.
R: Forse ho sbagliato a usare il termine, più che altro siamo davanti a una legge di civiltà. Si parla tanto di accoglienza, di integrazione di mano tesa verso il cittadino straniero e poi per entrare a far parte integrante e attiva di una comunità devo aspettare anni.
D: In questo senso sarebbe meglio la soluzione statunitense dello Ius Soli.
R: Certo, poter avere la doppia cittadinanza sarebbe un discorso inclusivo. Ritengo importante, ma anche per una questione proprio di inclusione sociale, dare il diritto di cittadinanza a chi nasce sul territorio del Paese in cui la propria famiglia ha deciso di vivere, lavorare e costruirsi una vita. Resta comunque il tema che ogni Nazione ha le sue regole ed è giusto rispettarle e accettarle, credo comunque che si possano ancora fare passi avanti verso l’uguaglianza.
D: Te hai mai avuto problemi perché non eri cittadina italiana?
R: Personalmente non in maniera particolare. Certo, ci sono complicazioni a livello burocratico per rinnovare il permesso di soggiorno come consegnare documenti, presentarsi in tempo in Questura e cose di questo genere, ma sono stata sempre in regola.
D: E qualche episodio di xenofobia o razzismo l’hai vissuto?
R: Sì e no. Nel senso che ad alcuni genitori dei miei compagni di scuola scappava spesso la battutina sullo straniero. Al contrario i miei coetanei sono molto più aperti e inclusivi. La paura del diverso appartiene più a un’altra generazione che a volte ha purtroppo ancora un modo di pensare piuttosto retrogrado. Certo che se la xenofobia è all’ordine del giorno in famiglia poi questa viene assimilata anche dai giovani.
D: Pensi che lo Ius Scholae piuttosto che lo Ius Soli cambi questa situazione?
R: Assolutamente no, però sarebbe un primo passo. Un passo per dire che noi ci siamo, che siamo italiani e siamo un valore aggiunto e non un peso per questo Paese. Si tratta, come già detto, di un atto di civiltà. Alla fine io sono in Italia da anni, ho frequentato qui tutte le scuole, voglio costruire la mia vita qui, perché non posso essere italiana e quindi pari a tutti i miei amici davanti alla legge e al mondo del lavoro?