Autore Redazione
venerdì
28 Aprile 2023
05:30
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Cronaca - Alessandria

La malattia mentale e i limiti di un sistema che dà risposte “inefficaci”: “Sbagliato, però, mettere in discussione leggi sacrosante”

La malattia mentale e i limiti di un sistema che dà risposte “inefficaci”: “Sbagliato, però, mettere in discussione leggi sacrosante”

ALESSANDRIA – Il dramma che si è consumato a Pisa con l’uccisione della psichiatra Barbara Capovani per mano di un suo ex paziente ha riacceso i riflettori sul tema della salute mentale e del percorso di assistenza per chi soffre di disturbi psichiatrici.

Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha annunciato “provvedimenti ad hoc per la sicurezza del personale sanitario e ha firmato un decreto per la costituzione di nuovo tavolo tecnico per potenziare “la qualità dei percorsi di prevenzione, trattamento e riabilitazione”. Interrogarsi” sull’accaduto ha certamente importanza in termini di “prevenzione” ma su un tema “delicato e complesso come quello della salute mentale il dibattito scaturito dalla tragedia di Pisa rischia anche di portare ascivolamenti ideologici e mettere in discussione leggi “sacrosante”.

Patrizia Santinon, Dirigente Medico della Psichiatria dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria parte con la sua riflessione dal 1978, anno della Legge Basaglia che 45 anni fa chiuse i manicomi e arriva al più recente superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari, nel 2014. “Il problema”, ha chiarito la psichiatra, “non sono quelle leggi” ma è stata “la prospettiva di vederle sostituite” con le Rems, presidi “eccellenti” ma pochi per accogliere la domanda.

Le Residenze per le misure di sicurezza, destinate all’accoglienza e alla cura degli autori di reato affetti da disturbi mentali ritenuti socialmente pericolosi, avrebbero dovuto portare a una assistenza “diffusa e umanizzata”. Il progetto, però, è rimasto “in alto mare”: “Il problema, quindi, è il mancato sviluppo di una legge giusta e civile“. I posti disponibili sono pochi, è previsto un massimo di 20 letti in ogni struttura, e in generale, ancora oggi sono meno di quelli che erano stati previsti: “Quando ci sono solo le Rems dove non si trovano letti o i servizi territoriali, che sono però depotenziati, diventa difficile rispondere a bisogni complessi come quelli di un paziente in misura di sicurezza”.

La situazione più problematica”, ha spiegato ancora la dottoressa Santinon, si verifica quando un paziente in misura di sicurezza ha un obbligo di cura presso i centri di salute mentale: “Se una persona è in carcere c’è una situazione di coercizione che, però, non ha aspetti riabilitativi. Se il paziente non trova posto nelle Rems, dove ci sono equipe multidisciplinari e strutturate, in alcuni casi va in comunità terapeutica ma in altri c’è l’indicazione a essere seguiti dai servizi territoriali. In quel caso ci si dovrebbe attivare per garantire che quei pazienti rispondano al loro obbligo, rispettando la cadenza degli appuntamenti. Il problema, però, è che ci devono essere progetti e sufficiente personale”.

Soprattutto dopo la pandemia, con le difficoltà legate all’aumento delle richieste di cura, la risposta ai bisogni di chi ha problemi di salute mentale è “inefficace”:È anche complicato confrontarsi tra referenti della psichiatria forense perché si resta impigliati nel lavoro oneroso sul territorio. La coperta è troppo corta per occuparsi di tutto con le poche risorse a disposizione”.

Per il Dirigente medico è necessaria unaridefinizione degli ambiti di intervento per prendersi cura dei pazienti psichiatrici e degli autori di reato che soffrono di patologie psichiatriche. Dopo una perizia deve cioè azionarsi un meccanismo che non può limitarsi a dirottare pazienti in una struttura o nell’altra a seconda della disponibilità di posti o aggrapparsi solo all’intervento del singolo psichiatra: “Si deve creare una rete, perché solo in una rete si ha la giusta tutela, per il paziente e per l’operatore”.

Secondo i dati raccolti da Anaao-Assomed proprio il personale che lavora in Psichiatria è quello che subisce il maggior numero di aggressioni (il 34%), seguito da quello che lavora nei Pronto Soccorso (20%):Ma nessun operatore sanitario ne è esente ha precisato Patrizia Santinon. Proprio per ridurre, prevenire e contrastare le aggressioni e gli episodi di violenza contro gli operatori sanitari, l’Azienda Ospedaliera di Alessandria ha recentemente siglato un protocollo con Prefettura e forze dell’ordine e per quanto riguarda la Psichiatria è stata data “una risposta” alla sofferenza numerica del personale, in particolare di quello infermieristico, con la presenza di una guardia notturna in reparto.

La dottoressa Santinon ammette però di rispondere “con difficoltà alla domanda se oggi ci si senta sicuri” dopo quanto accaduto alla collega di Pisa Barbara Capovani. “In ospedale abbiamo tutta una serie di tutele legate anche il fatto che il nostro reparto è chiuso. Quando accogliamo le urgenze non siamo mai soli ma lavoriamo con colleghi medici e una equipe infermieristica. Penso, però, a quello che accade ai colleghi che fanno servizio sul territorio e magari vengono intercettati nel loro privato”.

Purtroppo, Barbara Capovani non è la prima psichiatra vittima di un ex paziente. Dieci anni fa anche Paola Labriola venne uccisa nel Centro di salute mentale di Bari dove lavorava, ha ricordato la psichiatra dell’Azienda Ospedaliera di Alessandria: “Sono tragedie che toccano profondamente e che impongono una seria riflessione per rendere più sicuri i luoghi di lavoro. Gli operatori sanitari devono avere la garanzia di lavorare in sicurezza ma anche i pazienti devono avere la certezza di cura e assistenza. Ci sono momenti che segnano modifiche legislative importanti ma quelle leggi vanno continuamente reinterrogate. Se un lavoro è fatto bene e monitorato ci sono le possibilità per creare delle strutture psichiatrico-forensi che funzionino bene e che abbiano una intenzione riabilitativa. La legge che ha portato al superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari era giusta. Il cardine, però, era la presa in carico da parte del territorio delle persone ritenute non più socialmente pericolose e oggi più che mai bisogna confrontarsi e creare una rete per dare una risposta adeguata a queste persone”.

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