Autore Redazione
giovedì
14 Settembre 2023
12:35
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Cronaca - Novi Ligure

Un grande inizio per Hortus Conclusus con “U Parrinu” di Christian Di Domenico

Con una splendida prova di teatro di narrazione è partito ieri il festival novese ideato e diretto da Andrea Lanza. Il prossimo appuntamento venerdì 15 con Il Teatrino di Bisanzio
Un grande inizio per Hortus Conclusus con “U Parrinu” di Christian Di Domenico

NOVI LIGURE – E’ iniziato ieri, 13 settembre, con una grande prova di teatro di narrazione di Christian Di Domenico in “U Parrinu. la mia storia con Padre Pino Puglisi ucciso dalla mafia ”, il festival ideato e diretto da Andrea Lanza con il sostegno del Comune di Novi. Hortus si svolge nei cortili del centro storico, ma, nel caso di brutto tempo, come ieri, la sede diventa la Domus di vicolo Bianchi, un palazzo signorile affascinante, scarno nella sua struttura ed elegante nella sua nudità al servizio del teatro. Si terrà alla Domus anche l’appuntamento di venerdì 15 settembre alle con “Parola di Giòn” del Teatrino di Bisanzio. Tutto il programma di Hortus su radiogold.it/news-alessandria/eventi.  “U Parrinu” è stato presentato in collaborazione con il presidio di Novi di Libera contro le mafie e introdotto dalla presidente Valentina Avello. Dunque un teatro di narrazione, ma non solo. Racconta la storia di Pino Puglisi, il parroco (in siciliano parrinu) della borgata palermitana di Brancaccio ucciso dalla mafia il 15 settembre 1993. IL suo ruolo di educatore e la sua lotta “ostinata e contraria” agli schemi dell’illegalità si intrecciano, nel racconto, ai ricordi personali dello stesso autore-attore, ai fatti di cronaca e allo scorrere del tempo, scandito da eventi calcistici. Di Domenico ha conosciuto Puglisi grazie alla madre, siciliana, amica del sacerdote e, sia in apertura che al termine del monologo, ha voluto spiegare l’impegno nel rendergli memoria attraverso il suo lavoro di attore. Il monologo, presentato in anteprima il 22 maggio 2013, a Palermo, sull’altare della Chiesa di San Gaetano di Don Pino, pochi giorni prima della sua beatificazione, è giunto, grazie soprattutto al passaparola, alla sua 669esima replica. Da subito ci si immerge in una storia fatta di vite, di contesti, di fatti che segnano il passare del tempo, in un racconto-confessione di maturazione personale e di consapevolezza. E’ un crescendo che parte con l’inno nazionale dei mondiali dell’82, con un registro leggero che persino diverte. Christian e suo fratello, ragazzini, vengono mandati, dalla Brianza, a passare un soggiorno estivo presso don Pino a Brancaccio. La realtà con la quale si scontrano è persino aliena nel suo spietato degrado, ma la narrazione è divertente, modulata su canzoni disco riadattate in siciliano e descrizioni di enormi panini con la milza. Su tutto, Don Pino, piccolo, dai grandi piedi e dalle grandi mani, con le orecchie che sporgono e diventano viola quando si arrabbia. E’ una voce fuori dal coro in un quartiere poverissimo e violento, dove la mafia rappresenta per i giovani “l’unica speranza di ascesa e riscatto”. La sua pedagogia si basa sul perdono, sul principio che “chi usa la violenza perde la dignità di uomo” e la sua forza onesta e perseverante riesce a sottrarre tanti ragazzi alla criminalità. Il lavoro di 3P (soprannome scherzoso di Puglisi) con un piccolo comitato intercomunale è paragonato al gioco di una squadretta di calcio (costante il fil rouge calcistico) contro lo quadrone della mafia, ma il suo esempio è carismatico e a Brancaccio nascono oasi di legalità e di solidarietà. Negli anni scivolano i mondiali di calcio (con amarezza viene da pensare che siano quelli gli unici momenti di fratellanza), mentre Di Domenico diventa attore e calca molte scene. Gli rimane tuttavia una questione in sospeso con Don Pino, un perdono che non riuscirà a chiedergli, perché il sacerdote, lasciato solo dalle istituzioni, senza un arbitro contro una “squadra” che non segue le regole, sarà ucciso nel giorno del suo 56esimo compleanno. Lo spettacolo segue un crescendo, spezza con un riuscito umorismo la tragedia, per poi raggiungere un apice drammatico con la confessione del killer di Puglisi, interpretato con un cappuccio nero sul volto. Infine la voce del sacerdote, incisa sulla segreteria della famiglia di Di Domenico, proprio la sera prima del delitto, colpisce come un pugno, con il suo chiedere ancora una volta perdono per un semplice ritardo. Con un ritmo serrato U Parrinu mostra un quadro realistico e violento della Palermo delle cosche, delle collusioni e dell’indifferenza, ma non è questa la forza che impressiona. Ciò che rimane impresso è l’immagine, ben resa anche visivamente, di un uomo semplice, ironico, spiazzante nella sua capacità di perdonare ed accogliere. Il suo lavoro non è andato perso, continua tuttora nonostante la sua mancanza pesi come “Le tasche piene di sassi” dell’explicit finale in musica.  Tocca tutti i registri, l’interpretazione di Di Domenico, tiene sospeso il pubblico e ha il carattere di un percorso di formazione personale, con il passaggio dall’infanzia, all’adolescenza, alla maturità, segnato dall’incontro con un grande uomo. Hortus Conclusus non poteva iniziare meglio e si conferma un Festival da non perdere assolutamente.

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