1 Agosto 2024
12:05
La leggerezza che svela. Recensione del Marcovaldo di Giuseppe Cederna a Paesaggi e Oltre
CASTAGNOLE DELLE LANZE – Un paese che sembra restituitoci da un’altra epoca, una piazza panoramica lastricata di ciottoli e un palco dominato da un fondale disegnato, in attesa di un cantastorie. Ieri, mercoledì 31 agosto, è iniziato Paesaggi e Oltre, il seguitissimo festival di teatro e musica nelle terre dell’Unesco, promosso dalla comunità delle colline tra Langa e Monferrato e diretto ormai da ventitré anni da Massimo Barbero del Teatro degli Acerbi. Il prossimo appuntamento sarà domenica 4 agosto a Montegrosso d’Asti con gli attori alpinisti Jacopo Maria Bicocchi e Mattia Fabris in “Anche i sogni impossibili: il quindicesimo ottomila di Fausto De Stefani”. Il programma di Paesaggi e Oltre è consultabile su teatrodegliacerbi.it
Ad inaugurare il cartellone, in una Castagnole delle Lanze che pareva in festa, è stato Giuseppe Cederna con le novelle di Marcovaldo di Calvino, narrate tra meraviglia e ironia sorridente, cucite tra considerazioni e episodi di vita personale. L’atmosfera è quella di una narrazione intima, tra amici, dove parole e situazioni si inanellano e il generale richiama l’individuale, la fiaba richiama il vissuto e tutto scorre in una serata che pare una veglia. Sullo sfondo di un disegno (di Sara Colaone), che richiama un ambiente urbano con un tram (quello che Marcovaldo prende per andare al lavoro) e alti palazzi, Cederna racconta, accompagnato dal tappeto sonoro dei tanti strumenti suonati da Pantaleo Annese, che, di volta in volta, diventa anche spalla e voce.
Le novelle di Marcovaldo luccicano per incanto e disincanto, sono ironiche e commuovono. Rappresentano la speranza di un ingenuo antieroe che lotta per sopravvivere e per cogliere bellezza e natura in una città industrializzata e opprimente, dove la logica del consumismo sfrenato genera frustrazioni e infelicità. Sono molti gli spunti che offrono le cinque storie scelte dalla raccolta di Calvino (Funghi in città, La pioggia e le foglie, La fermata sbagliata, Marcovaldo al Supermarket e I figli di Babbo Natale), ma la lettura di Cederna va oltre, come deve fare il teatro, che vivifica e trascende.
Una bici a motore, degli scatoloni con il logo dell’azienda dove Marcovaldo fa il manovale (la scenografia è di Claudia Castriotta) sono l’ambiente spaesato del protagonista da cui parte la narrazione, per poi fermarsi e andare oltre l’immediato, come in una lectio approfondita, ma anche come in una sequenza di associazioni mentali e di ricordi. Così l’India del film visto da Marcovaldo in una serata nebbiosa diventa una delle Indie del viaggiatore Cederna, vissuta in un’avventura che sembra travalicare la realtà tra la sacralità della sorgente del Gange, un incontro sorprendente e la suggestione di Kipling.
Sacro, meraviglia e sottolineature leggere che strappano il sorriso sono il registro che accompagna dalla città alle vette himalayane, per poi tornare all’oppressione dello sviluppo urbanistico degli anni ‘60. Una foto, distribuita ad inizio serata agli spettatori, apre un altro spaccato di vita personale, questa volta familiare, che si incastra in un macrocosmo dove il singolo spera e agisce per arginare una follia collettiva distruttiva, quella del “produci, consuma, distruggi”, cui Calvino ha dato voce con splendida leggerezza. Si tratta di una foto-documento, con cui il padre del protagonista, Antonio Cederna, che si dedicò per tutta la vita a difendere i beni storici e paesaggistici all’epoca fortemente deturpati, illustrò uno studio sulle brutture urbanistiche.
Il Marcovaldo di Cederna è attraversato dalla leggerezza di Calvino, che svela e unisce tempi e luoghi dell’anima. Si ammutolisce di stupore di fronte alla grotta (“La bocca della mucca” viene chiamata) da cui nasce il fiume sacro Gange, si riconoscono le aberrazioni e le frustrazioni del consumismo e si ride alle variazioni persino comiche di registro, che sempre punteggiano, insieme alla musica, la narrazione.
Quella che si è respirata è stata un’atmosfera di perfetta condivisione tra protagonisti sul palco e pubblico, tanto da prolungare la serata con due fuori programma: una favola africana e una poesia (“La bellezza esiste”) del compianto cantautore Gian Maria Testa, che Cederna ha voluto ricordare. Una l’ispirazione di fondo: la speranza che genera lavoro, rispetto e civiltà, quelle pratiche la cui banalizzazione getta nella stessa voragine della buia città dipinta così bene da Calvino.