8 Febbraio 2025
12:14
Il velo delle parole. Recensione di “Otello. Di precise parole si vive” al Teatro Sociale di Valenza
VALENZA – Poche frasi ad effetto non possono spiegare eventi complessi. Per questo servono le storie e qualcuno che le racconti, servono precise parole, perché “di precise parole si vive, e di grande teatro”. Il verso di “Discanto” di Ivano Fossati suggerisce il sottotitolo di “Otello. Di precise parole si vive”, presentato ieri 7 febbraio al Teatro Sociale di Valenza alla stagione APRE, con la direzione artistica di Roberto Tarasco e quella organizzativa della cooperativa CMC di Angelo Giacobbe. Il prossimo appuntamento di APRE sarà il 21 marzo con il circo contemporaneo di Francesca Mari in “Tangle”.
Protagonista assoluta di “Otello….”, una strepitosa e applauditissima Lella Costa diretta da Gabriele Vacis, in un testo da loro scritto ventiquattro anni fa e oggi ripreso con qualche riadattamento che ne accentua il rapporto con la realtà attuale. In particolare, il riferimento alla violenza sulle donne è stato rimarcato ieri sera dalla presenza di uno stand informativo del centro antiviolenza me.dea.
La scenografia (di Lucio Diana) è elegante, composta da veli bianchi che cadono su una pedana rossa. Diventano man mano muri delle calli di Venezia, vele delle navi che navigano verso Cipro, gli abiti di Desdemona e le lenzuola del letto nuziale. Rappresentano, grazie alle luci che le animano (la scenofonia è di Roberto Tarasco) un inganno che nasconde e che, solo nel tragico finale, con la loro caduta, viene svelato (e il termine non è casuale). Lella Costa, vestita a usa volta di bianco, racconta la tragedia shakespeariana, ne interpreta i personaggi modulando vari toni di voce, ne fa un’esegesi alla luce di tematiche eterne e quanto mai contemporanee, come la manipolazione delle menti attraverso le parole e la violenza che degenera nel femminicidio.
L’Otello diventa una lente per osservare dinamiche individuali e sociali attraverso una storia raccontata quattrocento anni fa, che pare uscire dalle cronache moderne. Perché non è tanto la gelosia ad essere il tratto saliente del dramma, quanto ciò che scaturisce dal semplice sospetto cancellando ragione e umanità, in un vortice animalesco e annientante, purtroppo molto reale e proprio di ogni epoca. Lo sconcerto non è suscitato solo dalla violenza gratuita, ma anche dall’enormità della menzogna che prevale sulla realtà, grazie ad un uso mirato e intrigante delle parole di Iago, “un faccendiere, al confine tra luce e ombra…oggi si direbbe un underdog”. Il suo eloquio è rapido, fatto di frasi banali e di slogan, per questo persuade e insinua dei dubbi. Dice senza esporsi, ripete ciò che vuole che si pensi di lui (“l’onesto Iago” è chiamato, per sua stessa definizione), al contrario di Otello, i cui tempi lenti corrispondono al racconto della verità, alle parole con un solo e limpido significato.
Lella Costa assume il tono e le sembianze inizialmente pacate e autorevoli di Otello, si contorce in una gestualità sinistra quando interpreta Iago, parla con la voce cristallina di Desdemona, che perora di fronte al doge il suo amore per il Moro, e con quella roca di Brabanzio, il padre di lei, che “non approva, ma comprende” le sue ragioni. Accenna a movenze di commedia dell’arte, utilizza il registro umoristico nei commenti e nelle caratterizzazioni, parla con accento veneto e con quello toscano del bel Cassio, danza (nel vero senso della parola) “la sceneggiatura di Iago”, il cui smisurato desiderio di potere sta nel condizionare il destino altrui.
La calunnia paradossale diventa credibile, in un meccanismo fin troppo riconoscibile ogni giorno, e il culmine della strategia manipolatoria diventa tutt’uno con musica e ritmo in un monologo rappato. Così, con un piccolo capolavoro di persuasione, fatto di ripetizioni continue e di un ritmo cadenzato e ossessivo, Iago convince Roderigo, innamorato non ricambiato di Desdemona, a imbarcarsi con lui per Cipro e a pagarlo per intercedere presso l’amata (“Metti denaro nella borsa” è il motivo che ricorre sulle note di un noto brano rap qui parodiato). Come in Shakespeare “sono i tempi a raccontare più che le parole”, così qui i tempi sono musicali e la musica è una trama su cui si tessono dialoghi, alternanza di ironia, parlare popolaresco e un crescendo di odio.
Otello, folle d’amore (topos che con l’amore ben poco ha a che fare) uccide Desdemona e, una volta scoperta la sua innocenza, a sua volta si suicida in una tragedia annunciata. Desdemona va incontro al suo destino senza discolparsi, “ferma, immobile, inchiodata alla terra” come un fiore in procinto di essere strappato e qui, sottolinea la protagonista e ci auguriamo tutti noi, si sentono i secoli che ci dividono da Shakespeare, perché oggi il silenzio si può e si deve rompere.
Tante parole sovrapposte nel finale, che creano una confusione cui si contrappongono il silenzio della vittima e l’aria “Lascia ch’io pianga” di Händel. Troppi luoghi comuni, troppa comunicazione vuota e fuorviante, mentre “ci vorrebbero solo poche, precise parole”. Splendida Lella Costa nei padroneggiare il testo in tutte le sue sfumature e nel passare, con la stessa leggerezza dei veli da lei animati, attraverso una quantità di registri. Novanta minuti circa di un monologo che pare una rappresentazione a più voci, che diverte, indigna, coinvolge drammaticamente e apre dubbi e prospettive critiche come solo il grande teatro (quello citato da Fossati) può fare. Da vedere oggi e sempre.