19 Marzo 2016
23:15
Un paese e il suo lato oscuro. Recensione de “La strega” al Teatro Ambra
ALESSANDRIA – “… il vago riflesso di una nostra immagine che molti… sentono il bisogno di proiettare là dove tutto è buio, per attenuare la paura che hanno del buio. Colui che conosce il prima e il dopo e le ragioni del tutto e però purtroppo non può dircele per quest’unico motivo, così futile!: che non esiste. “
Così (e con dei versi di Pessoa) finisce “La chimera” di Sebastiano Vassalli e così finisce “La strega”, di Teatro Cargo, presentato sabato 19 marzo al Teatro Ambra, per la regia di Laura Sicignano e interpretato da Fiammetta Bellone.
La storia (tratta dal romanzo di Vassalli) di Antonia Renata Giuditta Spagnolini, la strega di Zandrino (paese ormai scomparso del Novarese), accusata di stregoneria, torturata e arsa sul rogo, è rappresentata in forma corale. La reale protagonista è l’intera comunità, fatta da laici ed ecclesiasti, venditori ambulanti, risaroli e lanzichenecchi. Antonia, un’esposta cresciuta in un convento e poi adottata da una coppia di contadini, ha i tratti comuni dell’ingenuità e dell’inconsapevolezza; la sua non è una personalità definita, da subito è chiaramente una vittima. Ciò che la accusa è un vortice di superstizione, invidia della sua bellezza, calunnie e necessità di trovare un capro espiatorio per i mali comuni, come la siccità.
Fiammetta Bellone dà voce e corpo ad un’intera collettività, alle accuse in forma di chiacchiera delle comari del paese, a Don Teresio, il prete inesorabile e vessatore, alle suore del convento dove cresce Antonia. Al tono lieve, che fa sorridere alle maledizioni lanciate dai religiosi locali alle pretese di austerità del nuovo vescovo, si sostituisce un crescendo di illazioni e di cattiverie, sottolineato da un cambio di ritmo e da un senso di caduta verso il baratro.
Il taglio registico fa del testo un vissuto nel quale riemergono particolari che, per chi ha letto in passato “La chimera”, spiccano nitidi nella loro importanza. Tutto sin dall’inizio fa presagire la fine, ogni segno di diversità (l’origine ignota e la bellezza) è strumento di demonizzazione.
Grande l’impatto visivo dato da una scenografia minima ma inquietante. La protagonista è al centro di un cerchio di mele e candele, mentre celebra un rituale sinistro infilzando i frutti. L’atmosfera appare magica, in contrasto con l’asserzione finale sul sovrannaturale in quanto pericolosa sovrastruttura creata dal bisogno umano. Una dicotomia, questa, che accentua il divario tra razionale e irrazionale, facendo scivolare lo spettatore nella voragine del lato oscuro dell’umanità.
Molti i pregi di “La strega”. Su tutto, un’interpretazione che coinvolge, indigna e sconcerta, trasportando in un luogo e in un tempo altri, sino al rogo, liberazione finale e catarsi per un intero paese che desidera sbarazzarsi delle sue paure nel modo più facile: rivalendosi su chi è più debole.
Uno spettacolo intenso e una regia di grande effetto, che rende merito ad un testo ricco ed evocativo.
Nicoletta Cavanna