5 Ottobre 2025
08:42
Le nuove uscite in libreria: dai predatori di Nazzi ai femminicidi
RADIO GOLD – Anche questa settimana vi guidiamo tra alcuni dei titoli appena usciti in libreria. Ecco i nostri consigli:
‘Predatori‘ (Mondadori) di Stefano Nazzi
E’ in libreria con Mondadori ‘Predatori’ del giornalista Stefano Nazzi. Ci sono stati anni, in America, in cui il male sembrava annidarsi ovunque. Nei parcheggi bui, ai lati delle strade, nelle case più insospettabili. L’FBI l’ha definita “l’epidemia”, l’età dell’oro dei serial killer, che tra gli anni Sessanta e Novanta furono quasi duemila. Uccidevano in silenzio, con metodo, con fantasia e, spesso, con una faccia rassicurante. “Siamo i vostri figli, siamo i vostri mariti, siamo dappertutto» ha detto Ted Bundy, uno dei più famosi. E aveva ragione. Con la sua prosa intensa e incalzante, Stefano Nazzi ripercorre quei decenni bui, portandoci nelle menti di alcuni dei più spaventosi serial killer americani. Come John Wayne Gacy, che vestiva da clown alle feste per bambini e seppelliva adolescenti sotto casa. Edmund Kemper, il gigante gentile che discuteva con gli agenti di Shakespeare e poi tornava a sezionare cadaveri. David Berkowitz, il Figlio di Sam, che diceva di agire per ordine di un labrador posseduto dal demonio. E ancora, Dennis Rader, padre di famiglia e tecnico della sicurezza, che si firmava BTK – ‘Bind, Torture, Kill’ – e Aileen Wuornos, che sosteneva di uccidere per difendersi, ma lo fece sei volte, a sangue freddo. E come Ted Bundy, colto, brillante, magnetico, “un tipico ragazzo americano che uccide tipiche ragazze americane”.
Accanto a loro, ci sono le storie delle donne e degli uomini che li hanno inseguiti, studiati, catalogati. Negli scantinati di Quantico, due agenti dell’FBI, Robert Ressler e John Douglas, iniziarono ad analizzare i profili degli assassini seriali e poi a parlare con loro. Insieme alla psicologa Ann Burgess, visitarono le carceri di massima sicurezza e intervistarono trentasei serial killer. Da quelle conversazioni nacque il profiling, l’idea che dietro l’apparente caos ci fosse un metodo e che dunque si potessero prevedere azioni imprevedibili. Fu Ressler a coniare il termine ‘serial killer’, Douglas ne tracciò le prime tipologie. Cercarono schemi, modelli, ricorrenze. Furono i primi mindhunters, i cacciatori della mente. Questo libro è il racconto di quell’epoca. Un viaggio dentro la mente dei più spietati predatori americani e di chi ha provato a fermarli.
‘Tanta ancora Vita‘ (Einaudi) di Viola Ardone
E’ in libreria con Einaudi ‘Tanta ancora Vita’ di Viola Ardone. Kostya ha dieci anni quando si mette in viaggio per arrivare dalla nonna Irina, domestica a Napoli. Nello zaino, la foto di una madre mai conosciuta e un indirizzo. Suo padre è al fronte per difendere l’Ucraina appena invasa. Tra soldati che cercano di bloccarlo al confine e sconosciute che gli dànno una mano, il bambino riesce ad arrivare. Vita, la signora per cui la nonna lavora, lo scopre addormentato sullo zerbino.
Quattro anni fa lei ha perso suo figlio e ora passa le giornate da sola, o con Irina, che ha letto Dante e parla italiano come un poeta del Duecento. Il piccolo ospite inatteso la costringe di nuovo in quel ruolo che il destino le ha tolto. Poi, quando il padre di Kostya è dato per disperso, Irina torna nel suo Paese a cercarlo. D’impulso, Vita decide di raggiungerla, per aiutarla. Tentare di salvare un altro, del resto, è l’unico modo per salvare noi stessi.
‘Perché contare i femminicidi è un atto politico‘ (Feltrinelli) di Donata Columbro
Contare i femminicidi non è un esercizio di precisione statistica, ma un atto politico. In Italia, non esiste un registro ufficiale dei femminicidi, e il modo in cui vengono classificati gli omicidi di donne rispecchia un sistema che spesso minimizza la violenza di genere. Chi decide cosa contare? E soprattutto, chi ha il potere di negare la rilevanza dei numeri?In ‘Perché contare i femminicidi è un atto politico’, pubblicato da Feltrinelli Donata Columbro, giornalista e divulgatrice esperta di dati, decostruisce l’idea della neutralità statistica e mostra come il conteggio dei femminicidi sia una questione di potere e resistenza.
Attraverso un resoconto tra storia, giornalismo d’inchiesta e attivismo, Columbro esplora il modo in cui i femminicidi vengono registrati nei dati ufficiali e rivela molto sulla percezione istituzionale della violenza di genere. In Italia, l’assenza di un registro ufficiale implica che la violenza sulle donne venga inglobata in statistiche più generali, rendendo difficile una lettura chiara del fenomeno. Per questo motivo, il lavoro di raccolta dati condotto dai movimenti femministi e dalle associazioni assume un’importanza cruciale. A livello internazionale, esperienze come quelle di Brasile, Argentina e Messico dimostrano quanto il monitoraggio dal basso possa essere efficace nel denunciare e contrastare il problema. Questo approccio rientra nel cosiddetto ‘femminismo dei dati’, una prospettiva che vede nella raccolta e nell’analisi dei numeri uno strumento di giustizia sociale e attivismo politico, capace di sfidare le narrazioni ufficiali e proporre un cambiamento concreto.
‘Perché contare i femminicidi è un atto politico’ non è solo un’analisi tecnica, ma un appello a riconoscere la violenza di genere anche attraverso le sue rappresentazioni numeriche. Perché i numeri sono storie, le statistiche sono strumenti di potere, e contare significa dare visibilità a chi non ha voce.
‘Rallentare o morire‘ (Marsilio) di Timothée Parrique
“Crescita verde, crescita circolare, crescita inclusiva; cinquanta sfumature di crescita, ma sempre crescita”. Siamo talmente immersi in questa ideologia che è più facile immaginare il pianeta in ogni sorta di distopia in stile Black Mirror, che un’economia in cui si produca meno. Nata negli anni trenta del secolo scorso come concetto contabile – il famigerato pil – è diventata un mito, un contenitore simbolico in cui facciamo rientrare progetti collettivi e individuali. Se però un tempo ha avuto una funzione ben precisa – rilanciare l’economia dopo la Grande depressione, debellare fame e povertà, ricostruire l’Europa – oggi l’indicatore coincide con l’obiettivo, una crescita senza scopo che ha conseguenze drammatiche. Esponente di una nuova generazione di studiosi, salito alla ribalta in Francia come teorico militante, fautore di un’’economia della post-crescita’, in una forma accessibile e stimolante Parrique in ‘Rallentare o morire’ pubblicato da Timothée Parrique invita (e ci aiuta) a prendere parte alla svolta storica che cambierà le sorti del nostro futuro e le cui alternative impietose sono tracciate nel titolo di questo libro.
Per abbattere la pervasiva ‘mistica della crescita’, spiega i complessi meccanismi che la legano alla natura, all’occupazione, al debito pubblico, alla coesione sociale e al benessere. Descrive la nascita e la trasformazione della teoria della decrescita, i luoghi comuni che inquinano il dibattito e le critiche costruttive che lo rinvigoriscono. Propone un piano concreto per andare oltre e imboccare una delle tante strade possibili che aspettano solo di essere prese in considerazione. Questo libro è la rivoluzione gentile dell’economia di cui avevamo bisogno, la prova che la crescita non è un destino ineluttabile. Saremo in grado di riconoscerlo e cambiare il nostro modo di pensare?
‘Che succede a Baum?‘ (La Nave di Teseo) di Woody Allen
Asher Baum sta silenziosamente perdendo la testa. Come biasimarlo? È un giornalista ebreo di mezza età, diventato romanziere e drammaturgo, consumato dall’ansia per qualsiasi cosa accada, i suoi ampollosi libri filosofici ricevono recensioni tiepide e il suo prestigioso editore newyorkese lo ha abbandonato. Il suo terzo matrimonio è in crisi, e sospetta che il suo attraente e affermato fratello minore possa aver sedotto la moglie laureata ad Harvard. È a disagio per la stretta relazione di lei con il figlio, uno scrittore più affermato di lui, e sospettoso anche del loro vicino in Connecticut. Come se non bastasse, in un momento di irrazionalità ha impulsivamente cercato di baciare una giovane e attraente giornalista durante un’intervista che lei sta per rendere pubblica. C’è da stupirsi che Baum abbia iniziato a parlare da solo? Gli sconosciuti che lo incrociano per strada scuotono la testa e lo evitano. Nel frattempo, ha scoperto un segreto esplosivo: meglio tenerlo per sé, o rivelarlo e man dare così all’aria il suo matrimonio?
‘Che succede a Baum?’, pubblicato in Italia da La Nave di Teseo è il primo romanzo di Woody Allen ed è tutto ciò che ci si aspetterebbe da lui, e anche qualcosa in più. Il ritratto di un intellettuale paralizzato da preoccupazioni nevrotiche sulla futilità e il vuoto della vita; uno sguardo irriverente sui miti della cultura newyorkese; soprattutto, una storia divertente, dalla trama serrata e dalla scrittura impeccabile, da uno dei più grandi e versatili talenti cinematografici e letterari americani.
‘Il libraio di Gaza‘ (Corbaccio) di Rachid Benzine
Sarà in libreria dal 30 settembre con Corbaccio ‘Il libraio di Gaza’ di Rachid Benzine. Julien Desmanges è un fotografo francese inviato a Gaza. Un mattino, girando per le stradine più nascoste della città, incappa in un uomo seduto davanti alla sua bottega. Ai piedi e ai lati pile di libri vecchi e meno vecchi: Julien capisce subito che sarebbe uno scatto perfetto, e domanda all’uomo il permesso di fotografarlo. E Nabil, questo il nome del libraio, glielo concede, ma solo dopo avergli raccontato la sua storia. Perché sono le parole che danno profondità all’immagine. Con un bicchiere di tè alla menta in mano, Julien ascolta allora la storia di Nabil, dall’esodo alla prigione, dall’impegno alla disillusione politica, dall’amore ai figli, dagli studi al teatro, dalle speranze al dolore di vedere soffrire chi si ama.
Si dice che quando muore un vecchio, brucia una biblioteca intera: ed è questa verità che Nabil svela agli occhi del fotografo. In un racconto disseminato dei libri che hanno segnato la sua esistenza, il libraio narra la storia di un uomo tenacemente aggrappato all’idea che a ogni pagina che volterà sarà più libero.
‘Supertondelli‘ (HarperCollins) di Enrico Brizzi
Enrico Brizzi in ‘Supertondelli’, pubblicato da HarperCollins, racconta le contraddizioni e le passioni di Pier Vittorio Tondelli: scrittore maudit, rivoluzionario delle forme, emblema del postmoderno. Con romanzi come ‘Altri Libertini’ e ‘Camere Separate’, Tondelli ha sconvolto i canoni della narrativa italiana, dando vita a storie che sfidavano le convenzioni sociali e culturali del suo tempo e provavano a smantellarle.
Nel settantesimo anniversario della nascita e a quasi trentacinque anni dalla prematura scomparsa dello scrittore di Correggio, Enrico Brizzi presenta un omaggio a un autore che ha saputo mescolare sperimentazione linguistica e tematiche audaci, lasciando un segno indelebile nella nostra letteratura. Ripercorrendo le infinite tracce che Tondelli ha lasciato nella sua breve esistenza, Brizzi conferma anche allo sguardo dei lettori contemporanei il valore intatto di un’o-pera che continua a parlarci con incredibile precisione.
Enrico Brizzi nato a Bologna nel 1974, ha esordito ancor prima di compiere i vent’anni con il romanzo ‘Jack Frusciante’ è uscito dal gruppo, stampato originariamente in appena 200 esemplari e trasformatosi in uno dei massimi casi editoriali della narrativa italiana del XX secolo. Dal tenebroso ‘Bastogne’ alla trilogia fantastorica aperta da ‘L’inattesa piega degli eventi’, dal memoir ‘La vita quotidiana a Bologna ai tempi di Vasco’ al ciclo degli ‘Psicoatleti’, ispirato ai suoi cammini attraverso l’Italia e l’Europa, Brizzi si è dimostrato un autore completo e dalla voce inconfondibile. Con HarperCollins ha pubblicato ‘La primavera perfetta’, ‘Enzo. Il sogno di un ragazzo’ e Due.
‘Piccolo almanacco dell’attore‘ (Baldini+Castoldi) di Fabrizio Bentivoglio
Fabrizio Bentivoglio, uno dei più grandi e amati interpreti italiani di cinema e teatro, raccoglie in ‘Piccolo almanacco dell’attore’, in libreria con Baldini+Castoldi dal 3 ottobre una serie di insegnamenti pratici e morali dedicati a coloro che decidono di intraprendere la professione attoriale. Bentivoglio si avvale costantemente di episodi della propria vita, riuscendo a imprimere all’opera anche un racconto a suo modo autobiografico: dagli studi alla Civica Scuola d’Arte Drammatica, attraverso gli anni di lavoro a teatro, fino all’approdo al cinema, ricordando colleghi che sono stati per lui fonte di insegnamento e ammirazione – come Gian Maria Volonté e Diego Abatantuono – e registi che sono riusciti a creare, insieme ai loro interpreti, delle vere e proprie famiglie allargate – Gabriele Salvatores e Carlo Mazzacurati tra tutti.
Tante sono le gemme di questo almanacco, pietre fondanti di un mestiere tanto ineffabile quanto concreto, come, per esempio l’invisibilità dell’attore (che deve sparire nel suo personaggio), la pazienza e la perseveranza, il rifiuto dell’improvvisazione, l’importanza di interiorizzare la propria arte, la conoscenza delle lingue e dei dialetti e quella degli altri saperi artistici. Un manuale prezioso e dal forte impatto didattico, eppure umile, sensibile, quasi confessionale, testimonianza di vita e al contempo omaggio alla sacralità della scena e di chi ha saputo calcarla, con uno sguardo impavido e generoso sulla nudità dell’uomo che sta dietro l’attore.
‘Open. La storia del progresso umano‘ (Rubbettino) di Johan Norberg
Arriva in libreria per Rubbettino ‘Open. La storia del progresso umano di Johan Norberg’, il saggio che ha acceso il dibattito internazionale sul futuro delle società aperte. Salutato dal ‘Financial Times’ come ‘una brillante difesa della globalizzazione’ e da ‘Newsweek’ come ‘una delle letture più illuminanti degli ultimi anni’, il libro approda in Italia con tutta la forza di un messaggio che suona attuale e urgente: senza apertura al commercio, alle idee e alle persone non c’è progresso, ma solo stagnazione e declino.
Il nucleo del libro è semplice ma radicale: il progresso umano nasce dall’apertura. Norberg mostra, con una narrazione che mescola antropologia, storia ed economia, che le società hanno prosperato quando hanno accolto scambi, contaminazioni e innovazioni, mentre hanno conosciuto declino quando hanno ceduto alla tentazione della chiusura. È questo il filo rosso che unisce l’uomo del Similaun, Ötzi, equipaggiato con strumenti e idee provenienti da diverse regioni alpine, alle grandi civiltà del passato: Atene e la filosofia greca, la Baghdad degli Abbasidi, la Cina dei Song, l’Italia del Rinascimento, l’Europa dei Lumi e l’Inghilterra industriale. Tutte fiorirono perché aperte al mondo, e tutte rischiarono di spegnersi quando alzarono barriere, fisiche o mentali.
Norberg individua due forze in perenne conflitto nella natura umana: quella del “commerciante”, che cerca di cooperare e scambiare, e quella del “tribalista”, che tende a chiudersi, a difendere il proprio gruppo contro gli altri. L’intera storia dell’umanità è attraversata da questa tensione. E se oggi vediamo crescere nazionalismi, protezionismi e diffidenze verso lo straniero, non è una novità ma un ritorno di antichi istinti che già in passato hanno soffocato momenti di straordinaria creatività. Norberg mostra come l’apertura sia stata non solo fonte di ricchezza materiale, ma anche di conquiste sociali e culturali. L’allungamento dell’aspettativa di vita, il crollo della povertà estrema, le rivoluzioni scientifiche e tecnologiche degli ultimi due secoli sono i frutti di un mondo sempre più interconnesso. Persino la lotta alla pandemia di Covid-19, ricorda, è stata possibile solo grazie alla cooperazione scientifica internazionale e allo scambio rapidissimo di dati e conoscenze. Johan Norberg, saggista, conferenziere e documentarista, è Senior Fellow del Cato Institute di Washington DC e del Centro Europeo per la Politica Economica Internazionale di Bruxelles. I suoi libri sono stati pubblicati in più di 25 Paesi. È stato insignito di numerosi premi e riconoscimenti, tra cui la medaglia d’oro della Fondazione Hayek che ha ricevuto insieme a Margaret Thatcher.
“Non è colpa dello specchio se le facce sono storte” (Utet) di Paolo Nori
Arriva in libreria con Utet “Non è colpa dello specchio se le facce sono storte” di Paolo Nori. Nel marzo del 2022, pochi giorni dopo l’inizio dell’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe, Paolo Nori si vide cancellare alcune lezioni su Dostoevskij che doveva tenere in un’università milanese. Scoppiò un caso di rilevanza internazionale e Nori si trovò al centro di una notorietà improvvisa, mentre si moltiplicavano gli inviti per tenere conferenze. Dalla Russia si fece avanti un regista che voleva girare un documentario su di lui. Nel declinare l’offerta, Nori gli scriveva: “Questa mia vicenda ridicola conferma una cosa che voi russi sapete benissimo. Che la letteratura, quand’è potente, come nel caso di Dostoevskij, è più forte di qualsiasi censura e di qualsiasi dittatura”. L’invasione russa è poi diventata una guerra che si trascina da anni e nel frattempo Nori ha pubblicato altri libri, non solo in Italia, ma anche in Russia, dove alcuni suoi titoli sono stati per la prima volta tradotti – ma anche censurati. La legge, infatti, impedisce che si pubblichino libri in cui la guerra in Ucraina non è denominata “operazione speciale” e di conseguenza l’editore russo ha dovuto operare alcuni tagli ai testi originali per poterli pubblicare. Col risultato, forse non disprezzabile, che Nori è ora uno scrittore censurato sia in Italia che in Russia.
In questo nuovo libro, il reo confesso filorusso Paolo Nori riflette sulle ragioni di un istinto che non è solo dei governi autoritari o delle cieche burocrazie: quello di abbandonarsi a semplificazioni che mettono sullo stesso piano politica e letteratura, guerra e poesia; quello di sentirsi dalla parte della ragione fino ad avere il diritto di zittire e cancellare le opinioni diverse; quello di ignorare pervicacemente che, come scrisse Gogol, “non è colpa dello specchio se le facce sono storte”. Ed è proprio lo specchio della letteratura che Nori, attraverso le storie dei suo amati autori russi, ma anche attraverso la sua scrittura unica e inconfondibile, mette di fronte ai suoi lettori: perché ciascuno eserciti la propria capacità di ragionare (ed emozionarsi) senza farsi imprigionare dalle gabbie mentali che confondono le persone con i loro governi, i libri scritti in una lingua con i proclami e gli ordini guerreschi pronunciati nella stessa lingua, la difesa della libertà con la censura.