22 Novembre 2025
07:00
Brilla di causticità “Le prénom” al Sociale di Valenza. La recensione
VALENZA – Una beffa che dilaga in rivelazioni scomode, segreti passati e rancori repressi. Questa la scintilla da cui parte “Le prénom”, la celebre commedia di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte, già tradotta in film dagli stessi autori e e poi da Francesca Archibugi nella versione italiana. Presentato ieri 21 novembre alla Stagione APRE del Teatro Sociale di Valenza e accolto con evidente apprezzamento dal numeroso pubblico, “Le prénom”, nella traduzione di Fausto Paravidino con la regia di Antonio Zavatteri, ha brillato di causticità e di dialettica perversa.
La trama è nota e racconta di una riunione familiare, in un contesto borghese e intellettuale, dove Vincent (Aldo Ottobrino) e la compagna Anna (Elisabetta Mazzullo), in attesa di un bambino, sono invitati a casa di Pierre (Alberto Giusta) ed Elisabeth (Lisa Galantini ). Insieme a loro l’amico fraterno Claude (Davide Lorino), raffinato musicista. Uno scherzo di Vincent, che si dichiara intenzionato a chiamare il futuro figlio come Hitler, scatena, nell’ambiente colto e progressista dove si muovono i cinque amici, un crescendo di tensione che deflagra persino in violenza.
Si parte da ritratti stereotipati per far emergere lati oscuri, il registro passa velocemente dal tono ironico iniziale, da commedia rassicurante, a quello pungente, sino ad un apice di insofferenza e ostilità che travalicano i limiti sociali. L’incipit, come il finale, è narrativo e lo stesso Vincent/Ottobrino introduce, rivolgendosi agli spettatori, i protagonisti. E’ una descrizione apparentemente bonaria, ma contiene suggerimenti ironici che si intuiscono importanti e fanno vacillare le iniziali dichiarazioni. Si dubita da subito circa la felicità di una coppia il cui equilibrio si fonda sui sacrifici di uno dei due, o circa la totale trasparenza di chi “praticamente non è”, ovvero non ha debolezze o segreti. Vincent presenta sé stesso come “pratico, materialista…un corsaro del XXI secolo”, lasciando presagire un attrito inevitabile con l’élitaria cultura di Pierre/Giusta.
Ad una traduzione centrata sull’ironia e sulla ferocia, si combina una regia che, a sua volta, centra i tempi, segna una parabola ascendente, la degenerazione apicale e un finale che riprende il tono pacato della narrazione iniziale. Tutto si conclude con una ricomposizione amichevole, ma con un pregresso imprescindibile e indimenticabile. Il confronto dialettico tra Vincent/Ottobrino e Pierre/Giusta è un capolavoro di logica applicata all’assurdo, di gioco dialettico di sopraffazione. La querelle verte su un nome, ma coinvolge il condizionamento sociale, ovvero “ciò che pensa la gente”, le pretese di originalità, l’ideologia fine a sé stessa.
Talvolta gli scambi sono esilaranti (tante le risate in sala), talvolta stupiscono per abilità astratta. Tutti i protagonisti si rivelano, si sfogano, si vergognano, ma si inorgogliscono anche dei loro gesti peggiori. Tutti hanno ragioni e giustificazioni agli occhi degli altri inaccettabili, come sempre in ogni interazione sociale. E’ un piccolo mondo di ipocrisie, peccati e non detti che, man mano, diventano sempre più riconoscibili e veri, sino all’accettazione finale, perché la vita è un compromesso pesante e faticoso. Regia, ottima interpretazione e scenografia (di Laura Benzi, un interno che trasuda cultura e apparente serenità) sono ingranaggi perfettamente equilibrati e il risultato è una macchina/commedia perfetta.