Autore Redazione
domenica
13 Novembre 2016
23:57
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Cronaca - Valenza

Viaggio nella Valenza dei gioielli, della passione, della Callas e dei ‘manici di scopa’

Viaggio nella Valenza dei gioielli, della passione, della Callas e dei ‘manici di scopa’

VALENZA – A Valenza, dentro enormi edifici che spiccano nel cielo grigio oppure in anonimi condomini si nascondono scrigni di creatività e talento. Il lungo giro organizzato da Confindustria, mirato alla scoperta del “bello e del buono” nel distretto valenzano, ha aperto le doppie porte che nascondono alla vista questo mondo. Sotto neutre luci neon prendono formano gioielli che illuminano le vetrine di costose boutique. Brillano in morbidi cofanetti ma non riescono a esprimere del tutto la lunga storia che ha permesso loro di arrivare sul collo di una donna fortunata o di sbirciare dai polsini di una giacca. Una chiacchierata, poi un’idea e infine una visione sono il primo passo che muove le creazioni della Pasquale Bruni, un’azienda che ammalia con le sue creazioni a Roma, Milano, Singapore e presto anche negli Usa. Nello studio-atelier di Eugenia Bruni, Direttore creativo dell’azienda, le parole amore e passione si leggono dappertutto. Un manichino cinto da una semplice stoffa di seta attende solo il minuscolo particolare, quello dato da un anello o una spilla: “bastano questi due elementi per rendere una donna splendida – ha spiegato Eugenia Bruniinnamorata del suo lavoro. Perché qui si fanno le cose con il cuore, con la creatività e con l’amore e tutto questo distingue il nostro made in Italy e rappresenta il nostro comandamento“. L’azienda “è la mia famiglia – ha raccontato – perché mio padre ha fatto vivere questa realtà fin da piccoli. Dobbiamo dare amore e anima in questo lavoro.”

Ogni gioiello parte da un’idea “ma è necessario avere una visione, della persona che la indossa e della natura – ha spiegato ancora Eugenia Bruni. Tutto questo accompagnato anche dall’istinto perché ci porta verso il futuro. Il gioiello vive e deve avere una storia da raccontare“.

La storia della Pasquale Bruni è raccontata nei tanti patrimoni artistici e di esperienze che si sono tramandati di anno in anno, a cominciare da un atelier-museo che riproduce il laboratorio degli albori, dove tra arnesi in legno e vecchie sedute spicca una enorme cassaforte piena di cassetti. Qui una volta erano custoditi i gioielli della Callas o di Sofia Loren. Prima di arrivare lì però, anche in passato, i gioielli dovevano e devono passare attraverso disegni elaborati al computer, selezioni minuziose delle pietre, impeccabili preparazioni delle armature dei gioielli in un mix di modernità e di tecnica antica. Ancora oggi, per esempio, i ‘manici di scopa‘ sono gli strumenti migliori per lavorare gli anelli. Tutto questo per dimostrare ancora una volta come il futuro esiste grazie a un passato pieno di talenti. Oggi la Pasquale Bruni occupa 90 dipendenti, 60 a Valenza.

Il patrimonio maturato nel tempo a Valenza è ancora vitale quindi. Di certo la crisi ha fatto selezione, è stato spiegato durante il tour, ma le realtà più strutturate hanno saputo muoversi e non si sono accomodate sul vissuto. “I ricchi ci sono, non sono spariti, si sono semplicemente spostati. Noi dobbiamo semplicemente andare a scovarli – ha spiegato Francesca, responsabile commerciale della RCM, azienda valenzana nata grazie ai tre soci Lorenzo Ricci, Adriano Corbellini e Guerini Manfrinati, con un export del 95%“. La ditta, nata nel 1969, è partita subito con la volontà di dare rilevanza alla gioielleria italiana e nello specifico a quella valenzana. Il risultato è stato importante. Ora la RCM vende nei paesi arabi, in estremo Oriente, in nicchie d’Europa e i suoi gioielli sono indossati da “diverse teste coronate“. I nomi non si possono dire “perché i reali sono molto gelosi delle nostre creazioni” ma questo dimostra l’altissimo livello della gioielleria valenzana. Qualità eccelsa e costo esorbitante, come testimoniato da un pugnale per sultani da un chilo e mezzo d’oro, tempestato di diamanti, lapislazzuli e onici. Il suo valore è “inestimabile“. Tuttavia la tradizione valenzana non è solo un esercizio classico ma anche una sfida per immaginare il futuro e così la RCM sta ora producendo anche gioielli in titanio. Il metallo è durissimo e difficilissimo da lavorare ma la sua leggerezza permette di creare esemplari più grossi e quindi di sfruttare tutta la superficie, impreziosita da pietre sfavillanti: “uno sfizio unico per chi vuole stupire“. Tutto questo permette di passare indenni dalle turbolenze della crisi sebbene i tempi cambino comunque e le fiere “nonostante diano una visibilità a 360 gradi seppure con un significato diverso da quello di una volta.”

 

Nel lungo percorso all’interno dell’arte orafa valenzana non potevano mancare le pietre. Su tutte i diamanti. Anche qui la scoperta scintillante in un alloggio al quarto piano di un palazzo in città. Il bianco luminoso delle pareti, delle scrivanie e della luce filtrata da tende rigorosamente candide ha spalancato le porte alle innumerevoli sfaccettature di pietre che hanno impiegato millenni per diventare quello che sono. La Marco Borsalino le compra, le osserva, le studia scrupolosamente per catalogarle tutte e offrirle alle dite cittadine: “vorremmo essere il magazzino di Valenza perché noi qui abbiamo tutti i diamanti, suddivisi per dimensione, taglio, brillantezza e colore“. Delle anonime bustine bianche con cuore celeste raccolgono l’esuberante bellezza delle pietre oltre che il loro valore imponente. Nel tempo anche questo mercato, ha spiegato Marco Borsalino, titolare dell’omonima azienda, è cambiato molto: “una volta era in mano al mondo ebraico e ora invece è di appannaggio indiano. Loro sono scaltri, bravi e abili, hanno imparato molto in poco tempo. Una volta lavoravano i diamanti e li tagliavano male, adesso invece sono diventati decisamente capaci“. Un racconto che nella sua semplicità ha dimostrato come le cose possano cambiare nel giro di poco tempo, dimostrando l’obbligo di muoversi sempre e di imparare, di crescere. Di sicuro però, ha aggiunto l’imprenditore, “il mercato delle pietre non è finito. Finché vedrete le donne ci sarà sempre – ha scherzato Marco Borsalino. La scelta sarà sempre del consumatore“.

Alla fine del tour si torna in strada e Valenza appare come tante altre città. La creatività rimane dentro i palazzi e le fabbriche ed è un peccato perché questo valore è qualcosa che forse si può proporre davvero, un’esperienza nel lusso e di lusso che ha pochi casi simili. Così come i gioielli schiudono la loro bellezza in cofanetti aperti nelle vetrine delle più eleganti boutique alla stessa maniera Valenza dovrebbe investire su un nuovo turismo, capace di ammirare e capire l’arte valenzana. Chissà che le fiere di una volta, e ormai con le ore contate, non possano trasformarsi in minitour esclusivi per turisti stufi dei soliti giri.

Fabrizio Laddago

 

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