15 Marzo 2017
00:37
Viaggio in un vortice mentale: recensione di “Open” a SET
ALESSANDRIA – “La vita da tennista è, soprattutto, uno straziante, eccitante, orribile, sorprendente vortice”
Sono le inquietanti parole di Andre Agassi, dalla cui biografia dettata al Premio Pulitzer J.R. Moehringer, è tratto “Open”, spettacolo di e con Mattia Fabris, presentato alla Sala Ferrero del Teatro Comunale martedì 14 marzo, primo appuntamento del Festival Set, Sport&Teatro.
“Open” è più di una biografia, è un ritratto interiore che riflette la dicotomia tra essere e voler essere, sorprendente in un personaggio di successo e apparentemente invidiabile. Agassi rivela di odiare il tennis che l’ha portato alla celebrità e di essere stato costretto ad una competitività con se stesso e il mondo da un padre ossessivo e violento, che ha riempito la sua infanzia solo di incessanti allenamenti.
Mattia Fabris è un Agassi di 36 anni, con il fisico logorato da una vita da atleta ai massimi livelli. In lui coesistono la voglia di ritirarsi dopo un ultimo incontro e la smania di perfezionismo trasmessagli dal padre. Proprio le parole urlate da quest’ultimo interrompono e condizionano i suoi pensieri, costringendolo alla condanna di essere sempre il migliore, nonostante il dolore, la stanchezza e il desiderio di smettere.
Fabris traccia il percorso interiore del protagonista. E’ un ragazzino inerme di fronte alla violenza psicologica del genitore, ex atleta di boxe che sfoga frustrazione e brama di vittoria sul figlio. La sua inquietudine di fronte alla macchina lanciapalle modificata dal padre, chiamata drago, è quella che un bambino prova davanti ad un mostro uscito dai fumetti. Il vortice straziante ed eccitante che travolge la mente del campione fa risuonare in lui più voci. Tra queste, quella del suo coath Darren, un richiamo alla fallibilità, all’errore di voler essere sempre il migliore di tutti, mentre il momento presente assomma infanzia, anni di tennis e di competizioni.
Tutto il monologo è sottolineato da una partitura musicale, composta ed eseguita sul palco da Massimo Setti alla chitarra elettrica, che sottolinea e rincorre lo sfogo interiore. Le contraddizioni e l’esasperazione toccano il culmine nella narrazione viscerale della sofferta partita al limite della resistenza con il più giovane Baghdatis, all’US Open del 2006, anno del ritiro di Agassi dalle competizioni. L’impatto emotivo creato dal turbinio di pensieri e dallo sforzo mentale e fisico è travolgente. Fabris crea nello spettatore lo stesso vortice ansiogeno citato dal protagonista e la pace si tocca solo al termine e allo stremo, con l’accettazione della fallibilità.
Uno spettacolo che pare l’immersione in una psiche tormentata, dove man mano si fa strada la consapevolezza e la liberazione da condizionamenti aberranti. Stupisce la profondità del percorso psicologico e il sottile equilibrio che Fabris tiene tra la drammaticità e momenti di leggerezza della narrazione, dove prevalgono toni discorsivi e più ameni. Un mix riuscito, un ritmo da torneo di tennis, una storia sorprendente e un’interpretazione di grande profondità per il primo appuntamento di SET alla Sala Ferrero.