Autore Redazione
giovedì
7 Novembre 2019
11:50
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Cronaca - Eventi - Tortona

La leggerezza e l’ossessione. Recensione di “La scuola delle mogli” a Tortona

Tutto esaurito ieri il Teatro Civico per il raffinato Molière di Arturo Cirillo, splendida sintesi tra rispetto del testo originale, musicalità, danza e valorizzazione della sua modernità
La leggerezza e l’ossessione. Recensione di “La scuola delle mogli” a Tortona

TORTONA -Un cartellone di alto livello, anteprime nazionali e una speciale accoglienza allo spettatore, “coccolato” al termine della serata con brindisi e rinfresco nel ridotto del Teatro in compagnia degli attori, sono la chiave del successo del Teatro Civico, che inanella un tutto esaurito dopo l’altro. Il prossimo appuntamento sarà per domenica 17 novembre con “La menzogna” di Florian Zeller, regia Piero Maccarinelli, con Serena Autieri e Paolo Calabresi, spettacolo fuori abbonamento.

Ieri, martedì 6 novembre, con “La scuola delle mogli”, la stagione si è arricchita di un altro grande successo di pubblico con un Molière musicale (nella traduzione di Cesare Garboli), raffinato, divertentissimo e dagli spunti veramente moderni.

Il testo si concentra intorno al concetto della gelosia ossessiva, che degenera in privazione della libertà e pretesa di sottomissione, un tema che la regia di Arturo Cirillo ha il merito di aver ben fatto risaltare senza forzature o contestualizzazioni alternative.

Arnolfo intende sposare Agnese, una giovane da lui precedentemente adottata ed educata nella solitudine e nella totale ignoranza del mondo, al fine di farne una moglie sottomessa e onesta, nella migliore accezione maschilista e possessiva del termine. L’apparato scenico (di Dario Gessati) è imponente e rappresenta una casa-prigione girevole dove, in una stanzetta rosa, la reclusa vive sotto la scorta di due servitori-carcerieri. La patologia di Orazio (Cirillo) emerge evidente e truce, ma di commedia si tratta e il taglio comico attinge alla danza che contamina le movenze di tutti i protagonisti, alla commedia dell’arte, ad un pizzico di commedia partenopea (nelle sfumature di accento dei due servitori Marta Pizzigallo e Rosario Giglio, anche nel ruolo di Crisaldo, amico di Arnolfo e voce della ragione).

Cirillo interpreta il suo Arnolfo con movenze che ricordano i gesti dinoccolati di Totò, ne evidenzia l’ossessione (tipica la generalizzazione che divide la società in sporcaccione e cornuti) e, tuttavia, fa crescere il suo personaggio e trae dalla grettezza grottesca il dolore finale reale dell’innamorato abbandonato. Perché, come in ogni commedia, Molière fa trionfare il lieto fine e sarà Orazio, interpretato da un entusiasta e ingenuo Giacomo Vigentini, a coronare il suo corrisposto amore con Agnese. La  gestualità del giovane spasimante è altrettanto danzata, ma trasuda energia sognante e purezza, mentre canta “Tu scendi dalle stelle” e intrattiene dialoghi assolutamente esilaranti con Arnolfo, che si finge suo amico e accoglie le sue confidenze amorose al fine di ostacolarlo. L’oggetto della contesa è sempre Agnese, vestita di rosa come una bambola, destinata ad essere moglie non-pensante, priva delle più elementari conoscenze di base, eppure dotata di un istinto primario che le indica la strada della sopravvivenza. E’ lei il personaggio più delicato, quello che potrebbe rischiare l’opacità, mentre Valentina Picello, diretta ad arte da Cirillo, ne fa una creatura indifesa e comica, persino fumettistica, che assume credibilmente consapevolezza di sé e reagisce in modo istintivo. Il dolore si esprime in lei con un lamento di pancia, profondo e ferino, l’inesperienza nei rapporti sociali si modula nelle tonalità stridenti della voce, oltre che nelle dichiarazioni dall’effetto comico. Tanta comicità non maschera il prepotente, primario e naturale desiderio di libertà. E’ l’atavico  femminile represso che vince ed è ciò che rimane impresso di un testo dove il genio di Molière dipinge l’ossessione maschilista e la sua vittima, non rinunciando né alle sfumature patologiche né alla forma comica.

Il contesto dinamico e danzato (la formazione del regista affonda anche nella danza) si fonde con l’atmosfera marionettistica dei costumi arabescati, dalla ricchezza vagamente seicentesca, la cui consistenza pare rigida, come plasticato appare il vestito rosa della bambola Agnese. Solo nel finale la protagonista indosserà un abito più morbido e, unica licenza al testo di Molière, non uscirà di scena a braccetto con Orazio, ma i due innamorati si rincorreranno in un gioco leggero, ma significativo di un’indipendenza conquistata.

Un allestimento di squisita intelligenza e sensibilità, assolutamente esilarante, leggero e profondo come deve essere il Teatro con la maiuscola, quello che è bello vedere in scena in un gioiello come il Civico di Tortona. Così Molière merita di essere rappresentato e tanta bravura nel dosare originalità e rispetto è difficile da eguagliare.
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