26 Marzo 2020
05:58
Coronavirus e violenza domestica, Me.Dea: “Molte donne sono vittime due volte”
ALESSANDRIA – Per le donne vittime di violenza il coronavirus risulta essere un dramma nel dramma. Perché a quello della paura per la malattia si aggiunge la convivenza forzata, dettata dalle restrizioni sugli spostamenti e lavorative, con i propri aguzzini. A lanciare l’allarme, tra le altre associazioni, è stata anche Me.Dea Onlus Contro La Violenza Alle Donne di Alessandria. “Si tratta di una situazione che preoccupa a livello nazionale. Perché chi subisce violenza domestica in questo periodo è vittima due volte: una del virus e della paura di ammalarsi, l’altra delle percosse o delle torture psicologiche che subisce dal proprio partner“, spiega la presidente Sarah Sclauzero.
Nei mesi in cui il coronavirus ha costretto molti alessandrini nelle loro abitazioni per via dei Decreti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il centro antiviolenza ha riscontrato un aumento costante delle richieste d’aiuto. “Questa convivenza forzata, in assenza di una valvola di sfogo come poteva essere il lavoro, rende situazioni limite ancora più difficili“, precisa. Ecco che con il passare del tempo si è verificato un “aumento di richieste d’aiuto da parte di donne vittime di violenze da parte dei loro partner“. Richieste che Me.Dea, nonostante l’emergenza sanitaria, “tenta di esaudire con tutte le difficoltà nate in questo particolare periodo“.
Va detto che nell’ultimo documento di autocertificazione per gli spostamenti “fortunatamente è presente anche la voce che consente anche i movimenti per motivi di necessità, come può essere appunto venire al centro antiviolenza” che rimane aperto seppur con tutte le restrizioni per la salute pubblica presenti nel Dpcm. “A questo proposito abbiamo anche aperto servizi di natura multimediale accessibili alle donne che ne hanno bisogno“. Il timore infatti è che si ripeta quanto già accaduto in Cina, con una seria e preoccupante impennata di femminicidi “causata proprio da una convivenza forzata arrivata alle sue estreme conseguenze. Conseguenze causata di mancanza di valvole di sfogo da parte dei soggetti violenti e di aiuti tempestivi da parte di chi deve controllare e tutelare“.
Da qui l’esigenza di non chiudere e anzi “potenziare la nostra attività aiutando tutte le donne in difficoltà. Ma soprattutto facendo capire coloro che subiscono violenze di non nascondersi e piuttosto denunciare e affidarsi ai centri specializzati“. Da guardarsi con occhio favorevole le ultime indicazioni del ministro dell’Interno Lamorgese “che ha chiesto ai Prefetti di vigilare attentamente sul fenomeno e ampliare le Case Rifugio. Compito non semplice ma utile a sottolineare la gravità dei fatti. Il pericolo è concreto anche se spesso rimane sommerso. Affrontarlo anche a livello istituzionale è un primo passo fondamentale“.
E proprio sulle Case Rifugio va detto che ad Alessandria si trovano appartamenti protetti e nascosti dove vivono singoli nuclei (donne con figli) “quindi la possibilità di un eventuale contagio come ci può essere in altre realtà è estremamente remoto. Come sempre facciamo si attua comunque un monitoraggio sanitario della persona che richiede il nostro aiuto. Non si fanno tamponi ma si constata il quadro clinico generale della persona segnalando alle autorità competenti della Asl eventuali casi sospetti. Questo per tutelare chi ha bisogno ma anche gli operatori che entrano in contatto per portare la spesa, farmaci o forniscono un supporto psicologico”.