Autore Redazione
venerdì
24 Aprile 2020
05:37
Condividi
Cronaca - Alessandria

Negativo al tampone ma ricoverato in un reparto covid: “Mio padre non c’è più e non mi do pace”

"Quando il paziente non ha sintomi il tampone può anche essere negativo perché la malattia è in una fase precoce e il virus non ha avuto il tempo di replicarsi" ha precisato l'Azienda Ospedaliera di Alessandria
Negativo al tampone ma ricoverato in un reparto covid: “Mio padre non c’è più e non mi do pace”

ALESSANDRIA – “Perché?”. Se lo chiede da qualche settimana una alessandrina, una delle tantissime persone costrette a doversi confrontare con la morte di un proprio caro, a causa del covid. A inizio aprile il coronavirus ha infatti portato via suo padre 79enne. Nella sua lettera inviata alla nostra redazione, però, la donna invoca chiarezza su un aspetto purtroppo beffardo, alla luce di quello che è poi successo: portato all’Ospedale di Alessandria per sintomi riconducibili al covid 19 (insieme ad altre croniche patologie pregresse) l’uomo era però risultato negativo al tampone ma, nonostante questo, ricoverato comunque in un reparto covid del Santi Antonio e Biagio.

“E’ passato un po’ di tempo, ma continua a frullare in testa la stessa domanda: perché? Non riesco a darmi pace. Mio papà affetto da diverse ed importanti patologie, era entrato in ospedale ad Alessandria per febbre alta e quella che io e la mia famiglia ritenevamo un’infezione il 22 marzo, temendo che fosse il coronavirus. Subito, però, il peggio sembrava superato: il primo tampone era infatti risultato negativo, così come il secondo. Invece, era l’inizio della peggior fine”.

“I medici” ha continuato a raccontare la nostra lettrice “avevano infatti deciso di portarlo in un reparto per curare una polmonite comunque riscontrata, anche se senza sintomi evidenti. Solo dopo siamo venuti a sapere che era stato portato in un reparto covid. Perchè? Purtroppo da lì in poi il contatto telefonico con mio padre è sempre stato difficile, sia per noi che per il medico curante”. 

Nell’intenzione della nostra lettrice non c’è infatti alcuna polemica o rivendicazione: solo il bisogno di una maggiore chiarezza e comunicazione tra ospedale e famiglia che è mancata. Un appello invocato a nome di chi sta affrontando situazioni purtroppo simili alla sua.

“I colloqui sono sempre stati brevi ma comunque importanti grazie alla gentilezza di medici e infermieri, però le informazioni sono apparse discordanti, avremmo voluto avere più dettagli sulle sue condizioni, sulle terapie che ha affrontato. “Io sto bene ma venitemi a prendere, qui la gente muore da sola” ci diceva però al telefono. Nonostante le sue patologie, però, dopo tre giorni di antibiotici e cure mio padre migliora, sta bene, respira da solo, ma non è pronto per le dimissioni: i medici parlano di un “decadimento”. Noi ci fidiamo ma, al tempo stesso, ci organizziamo per riportarlo a casa, comunque vada, pronti insieme ad accettare anche un triste epilogo. Il giorno delle dimissioni finalmente arriva ma mio padre risulta, a quel punto positivo al tampone”. 

A quel punto non riusciamo a contattare subito il reparto. Nel tardo pomeriggio veniamo a sapere che sarà trasferito in un altro reparto e, da lì in poi, i contatti telefonici con lui non saranno più possibili. Il giorno successivo siamo pronti a recarci in ospedale per la consegna dei cambi insieme a frasi di incoraggiamento, ma al telefono ci comunicano telefonicamente che, siccome le sue condizioni non sono critiche, mio padre sta per essere trasferito in un altro ospedale della provincia, a Novi Ligure”.

A quel punto ci appare purtroppo inutile anche una corsa dietro all’ambulanza, per vederlo anche da lontano, accertarsi dello stato di salute. Mio papà, purtroppo, morirà dopo due giorni e a noi non non resta altro che ritirare i suoi effetti, intatti come tutti i messaggi. Per le esequie, purtroppo, si aprirebbe un’altra triste storia ed esperienza da raccontare”.

“Mi chiedo” ha concluso quindi la nostra lettrice “perché non ci sono state adeguate procedure per evitare contatto diretto tra malati di Covid e non, proprio in ospedale? Perché non è stata istituita una comunicazione più efficace per permettere un vero scambio di informazioni fondamentali con le famiglie o medici curanti, o delle procedure che aiutino il personale sanitario in emergenza a svolgere il loro prioritario lavoro sui pazienti?

Perchè non ci sono procedure che evitino il contagio di chi entra in ospedale, così da non caricare ulteriormente gli ospedali stessi, già in crisi, di malati che comunque sarebbe opportuno o più dignitoso dimettere?

Purtroppo ho constatato la mancanza di una concreta organizzazione nella gestione dell’emergenza: assistiamo tutti i giorni a informazioni e bollettini sui morti e i contagi, che dovrebbero rispecchiare la situazione epidemiologica. Manca, però, il dato di base: il numero reale dei positivi. Tutto questo lascia me e la mia famiglia oltre che addolorati anche sgomenti e scioccati”.

Contattata dalla redazione di Radio Gold l’Azienda Ospedaliera di Alessandria, pur non entrando nel merito del caso specifico, ha comunque precisato cosa prevede la procedura: “L’esecuzione del tampone serve per la ricerca del virus. Quando il paziente non ha sintomi il tampone può anche essere negativo perché la malattia è in una fase precoce e il virus non ha avuto il tempo di replicarsi. Nei casi in cui i pazienti presentino un quadro clinico compatibile al Covid vengono presi in carico e trattati, come previsto anche dalle indicazioni dell’Unità di Crisi, anche grazie all’integrazione di più sistemi diagnostici. Dopo il trattamento, il tampone viene ripetuto per un’analisi di conferma”. 

Condividi