10 Maggio 2020
04:15
Dimessa un mese fa ma ancora senza tampone: “Costretta a vivere in affitto a mie spese”
VALENZA – “Assurdo, vergognoso”. Sono questi i due aggettivi ricorrenti nel racconto di Raquel, una donna di origine brasiliana ma ormai valenzana d’adozione da ben 20 anni, costretta a vivere un decorso post coronavirus purtroppo beffardo e pieno di incognite. Positiva al covid 19 e dimessa da una struttura ospedaliera nel giorno di Pasqua perché ritenuta fuori pericolo ma senza ancora aver effettuato il tampone, Raquel ha dovuto suo malgrado affittare a sue spese un piccolo appartamento perché non sapeva dove poter completare la sua convalescenza. La donna, infatti, vive col suo compagno e il figlio piccolo in una dimora che non le consentirebbe di restare in isolamento, senza correre il rischio di contagiare i suoi cari.
“Il 30 marzo inizio ad avere sintomi del coronavirus ed essendo stata in contatto stretto con una persona che era poi purtroppo deceduta ho subito la dottoressa di base che prontamente ha fatto la segnalazione all’Asl e, in parallelo, mi consiglia lo stesso di iniziare il trattamento con i farmaci e non recarmi in ospedale, se possibile.
Il 6 aprile, però, la situazione si complica e, per causa di forza maggiore, mi reco in pronto soccorso che conferma la mia positività. Li inizio un calvario infinito. Vengo ricoverata in un’altra struttura ospedaliera. Nonostante abbia poi alcuni sintomi e la febbre vengo dimessa il giorno di Pasqua perché mi ritengono fuori pericolo quindi mi dicono di continuare l’isolamento a domicilio.
Purtroppo, però, casa mia è piccola con un solo bagno e con me vivono il mio compagno e mio figlio che, per fortuna, pur essendo in isolamento preventivo, non hanno manifestato sintomi. Insomma, mi trovo senza altre alternative: per proteggere mio figlio io e mio marito troviamo un appartamento in affitto, a nostre spese, dove io da quel momento vado a vivere.
Nel frattempo speravo che Asl venisse a farmi il tampone che riscontrasse la mia eventuale guarigione ma fino a oggi ancora nulla ed è passato quasi un mese. Io chiamo ogni giorno ma la risposta è sempre la stessa: “Deve aspettare, prima o poi verranno”. A questo punto ho dovuto chiedere ancora un prolungamento dell’affitto fino almeno al 30 maggio, spendendo cifre assurde: perchè? Non avrei diritto a poter usufruire di strutture accreditate dal servizio sanitario nazionale per poter concludere il periodo di isolamento?
“Ho chiamato il comune di Valenza pregando per un piccolo aiuto economico per la spesa di questo alloggio visto che nessuno si è preoccupato di procurarmi una struttura e l’unica cosa che mi hanno detto è che non hanno possibilità di aiutarci. Poi ho chiamato l’Asl per chiedere se potevano accelerare i tempi per effettuare i tamponi spiegando la mia situazione, ma non fanno niente a proposito. Per aggiungere un piccolo disagio sul disagio sembra che il Pronto Soccorso non abbia inviato i documenti per avviare il mio l’infortunio all’Inail e io, per errore loro, questo mese non percepisco nemmeno lo stipendio. Il mio compagno e mio figlio non sono stati sottoposti a nessun tampone e lui è praticamente segregato in casa, non può tornare al lavoro perché non abbiamo con chi lasciare mio figlio, che ha 12 anni. L’azienda dove lavora il mio compagno ha concesso ancora un periodo di cassa integrazione fino al 16 maggio ma poi se non mi fanno il tampone dovrò restare qui e lui non può tornare a lavorare. Tutto questo è una vergogna, un disservizio sanitario che ha del clamoroso”.
Foto di Andrea Toxiri da Pixabay