Autore Redazione
giovedì
10 Settembre 2020
06:58
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Cronaca - Alessandria

Suicidio, quel male oscuro che cresce tra la popolazione: “Richieste d’aiuto che non possono restare inascoltate”

Suicidio, quel male oscuro che cresce tra la popolazione: “Richieste d’aiuto che non possono restare inascoltate”

ALESSANDRIA – Il 10 settembre non è una data qualsiasi. Al contrario, potremmo dire che il 10 settembre è una data simbolo per chi quotidianamente combatte contro un male oscuro che porta dentro di se. Questo, infatti, è il giorno in cui si celebra la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio. L’obiettivo più importante di questa iniziativa è quella di aumentare la consapevolezza nella comunità scientifica e nella popolazione generale che il suicidio è un fenomeno che può essere prevenuto. Ogni anno, solamente in Italia, sono 4000 i tentativi di suicidio. Ne abbiamo parlato con la dottoressa Maria Grazia Guercio, Psichiatra de Le Mete e già primario dell’Ospedale psichiatrico di Alessandria e del Centro di Salute Mentale di Tortona.

DOMANDA: Cosa scatta nella mente di una persona che pensa al suicidio?
RISPOSTA: Sono diversi i fattori che portano un uomo piuttosto che una donna a togliersi la vita. Fattori che si trovano nella storia personale e nel vissuto di quei soggetti. Prima di tutto c’è uno sganciamento da quello che è l’investimento di un eventuale progetto futuro. Cioè viene meno nel proiettarsi in un futuro che può dipendere da svariate motivazioni.
D: Quali ad esempio?
R:
Un lutto, una frustrazione, una perdita, una paura. In generale motivazioni che tolgono alla persona l’aggancio con la vita di tutti i giorni che sia affettiva piuttosto che lavorativa. In questi anni abbiamo visto che per problemi legati al lavoro molte persone perdono la speranza legata al futuro.
D: Perché quindi ci si suicida?
R:
Il problema sta nel non ritrovare in sé le risorse necessarie per dare motivazioni alla propria esistenza. E qui i fattori non riguardano solo il presente ma anche il passato di un individuo. Vale a dire la capacità di questa persona di trovare in sé un’identità forte che, qualunque cosa possa capitare, non la faccia precipitare nel baratro.

D: Quindi ci sono persone più propensa a cadere in questo tunnel?
R: 
Non proprio. Possiamo dire che una persona con un sé forte, positivo e resiliente potrà affrontare anche ostacoli importanti. Al contrario l’individuo con un sé più labile sarà più orientato a lasciarsi andare a un pensiero di fine dove identifica la cessazione della sua sofferenza.
D: Cosa si intende per sofferenza?
R:
Può essere di vari tipi. Uno legato alla depressione, un’altra potrebbe essere una sofferenza più profonda dove il soggetto può avere dei comandi interni verso una soluzione suicidaria. Infine c’è l’ipotesi della punizione estrema verso chi provoca sofferenza. Ed è una soluzione rivolta, oltre che a se stessi, alla società piuttosto che alla famiglia nell’intento di far soffrire quanto il suicida ha sofferto a causa di una determinata condizione o situazione.
D: I tentativi di suicidio possono essere classificati anche come richieste estreme d’aiuto?
R: 
Ci sono forme estreme scelte per compiere un atto suicidario che non lasciano alcuna speranza come il buttarsi sotto il treno o dall’ultimo piano di un palazzo. Al contrario ci sono altre forme di suicidio che possono diventare un richiamo e non una volontà vera e propria di farla finita. A volte l’urlo con cui si chiede aiuto prende forma attraverso queste decisioni forti e sconvolgenti.

D: In questo senso esistono campanelli d’allarme?
R: Si possono intuire anche se non possono essere assoluti e univoci. Quando una persona solitamente gioviale e capace di intrattenere rapporti si ritira, non gradisce più la compagnia degli altri, non si occupa più della propria persona, esprime pensieri bui sulla vita e non riesce più a fare progetti e ha pensieri ostinati e negativi verso il domani, ecco siamo davanti a primi segnali allarmanti.
D: Cosa si può fare nel caso in cui ci si accorgesse che qualcosa non va?
R: Prima di tutto bisogna fare attenzione ai piccoli segnali che questi soggetti mandano in un modo o nell’altro. Se c’è un conteso famigliare adeguato bisognerà renderlo partecipe e iniziare un processo psichiatrico o psicologico adeguato. In queste situazioni il vero problema è quello di offrire un aggancio adeguato a chi sta covando una sofferenza dentro di sé.
D: Chi tenta il suicidio una volta è possibile che ci riprovi?
R: 
Non esiste una regola specifica, comunque sì, può essere che un soggetto tenti più volte la via suicidaria. Chi non riesce in un primo tentativo serio potrebbe riprovarci sino a quando non raggiunge il suo obiettivo di farla finita.

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