Autore Redazione
venerdì
15 Maggio 2015
22:00
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Cronaca - Novi Ligure

Il capitano dell’Acqui femminile sulla frase di Belloli:”parole ignoranti e meschine”  

Il capitano dell’Acqui femminile sulla frase di Belloli:”parole ignoranti e meschine”  

ITALIA – Se nasci femmina devi amare i tacchi, non i tacchetti delle scarpe da calcio. Sono cariche di ogni tipo di pregiudizio possibile le parole pronunciate dal presidente della Lega Nazionale Dilettanti, Felice Belloli riferite al calcio femminile. Una frase sessista, che ha offeso e svilito il mondo delle calciatrici “a quattro lesbiche”. Parole che il presidente nega di aver pronunciato, ma che hanno ormai scatenato una bufera.

Quella frase  ha profondamente indignato anche il capitano dell’Acqui Calcio Femminile, Barbara Di Stefano. Impossibile “rimanere zitte” quando per l’ennesima volta il calcio femminile viene etichettato con quel pregiudizio dilagante che vuole “il bambino calciatore e la bambina ballerina”. “Se non è così, e un maschio vuole ballare  è considerato  gay e una femmina che vuole giocare a calcio  è invece una lesbica”. Eppure, ha ricordato Barbara, il calcio è calcio e ben dovrebbe chiaro il presidente della Lega Nazionale Dilettanti. “Lo sport e le regole sono le stesse, la palla è la stessa, i campi sono grandi tanto quelli su cui corrono gli uomini. Tra calciatori e calciatrici l’unica differenza è il sesso e, purtroppo, i soldi”. Di denaro nel calcio maschile ne gira sicuramente di più ed è questo, secondo il capitano dell’Acqui che fa pendere la bilancia sempre e solo da una parte.

Eppure, ha aggiunto, “la passione” è la stessa.Anzi. Per la donna il calcio è davvero solo passione. Noi non prendiamo rimborsi, né premi in denaro in caso di vittorie”. Anche per le ragazze  dell’Acqui Calcio Femminile, riuscite a vincere il campionato e conquistare la serie B e pronte giocarsi domenica la Coppa Piemonte “il mestiere della calciatrice” resta solo un sogno. “Credo che in Italia siano una ventina le donne riuscite a trasformare questa passione in una professione. Basti pensare che per noi il premio vittoria è una cena offerta dalla società quando già nella terza categoria maschile ci sono ragazzi che magari 50 euro li prendono. Io gioco per passione da 20 anni. Ho iniziato quando ero piccola ad allenarmi con i maschi, poi ho scoperto le squadre femminili che all’inizio in città non c’erano neppure. Oggi lavoro e faccio 40 Km per andare agli allenamenti, che dal prossimo anno diventeranno tre a settimana. Per me, però, il calcio non è mai potuto diventare una professione perché in Italia è così”. Eppure, ha aggiunto Barbara di Stefano, “senza neppure guardare troppo lontano” in Germania o Francia il calcio può essere una professione anche per le donne.  “Il calcio femminile italiano sta lottando per crescere e non è una persona che pronuncia certe parole a poter guidare questo percorso. Non si può fare amministrare lo sport, che è e deve essere un patrimonio di tutti, a degli incompetenti. Bisogna fare qualcosa, magari anche uno sciopero dei calciatori contro una frase così meschina e ignorante. E non aggiungo altro solo per non abbassarmi al livello di chi l’ha pronunciata”.

Tatiana Gagliano

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