Autore Redazione
giovedì
26 Maggio 2022
05:39
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Cronaca - Ovada

La storia di Elio il parkourista solitario di Cremolino: “Vorrei anche ad Alessandria questa disciplina”

La storia di Elio il parkourista solitario di Cremolino: “Vorrei anche ad Alessandria questa disciplina”

CREMOLINO – C’è chi lo definisce uno sport a tuttotondo, chi invece preferisce chiamarlo disciplina e chi ancora una forma d’arte. Del resto il parkour è tutto questo insieme. Una serie di movimenti coordinati e ritmati che possono dare vita a ipnotiche evoluzioni all’aria aperta. Lo sa bene Elio Macaj, 22enne di Cremolino, che ormai da sei anni pratica questa disciplina. “Lo faccio nel poco tempo libero che ho, dato che lavoro in un B&B e azienda vitivinicola dell’Ovadese. È la mia valvola di sfogo“, ci racconta.

Nato in Francia a partire dalla metà degli Anni ’80, il parkour consiste – in parole semplici – di compiere un percorso partendo da un punto A e arrivando a un punto B. Il tutto però superando una serie di ostacoli in modo fluido e armonico ma nel minor tempo possibile. Si tratta di uno sport che generalmente si fa all’aria aperta in un percorso urbano precedentemente tracciato e studiato. Il parkour include corsa, arrampicata, oscillazione, volteggio, salto, pliometria, rotolamento, quadrupedia e altri movimenti tutti funzionali a superare al meglio il percorso.

D: Quando ti sei avvicinato al parkour?
R: 
Era il 2016 quando insieme a un amico delle superiori mi sono avvicinato a questo mondo. Alla fine eravamo un gruppo di circa otto persone. Ci incontravamo, provavamo i trick e studiavamo i percorsi urbani.
D: Poi cosa è successo?
R: Durante il percorso molti hanno lasciato. Dagli otto che eravamo siamo diventati quattro in un primo momento, poi dopo il Covid sono rimasto da solo a praticare questa arte.
D: Arte in che senso?
R: 
Perché nel praticare il parkour si fa sì attività fisica, ma si crea una sorta di coreografia accentuata da movimenti armonici. Se provate a vedere i video di parkouristi professionisti rimarrete ipnotizzati dalla fluidità delle loro azioni.

D: Cosa è per te il parkour?
R: Oltre che arte è una valvola di sfogo. La rigidità di questa disciplina così come il comprendere i propri limiti e provare a superarli mi ha arricchito. Sono cresciuto sia come atleta sia come persona.
D: Dove ti alleni?
R:
Ho iniziato a farlo per strada, anche con il rischio di farmi male. Non sapevo se c’erano palestre dedicate e comunque non ne avevo la possibilità. Adesso, da qualche tempo, mi alleno alla Forza e Virtù di Novi Ligure dove si pratica anche ginnastica artistica e acrobatica. Mi sta servendo molto per migliorare la mia tecnica. Non si tratta di una scuola apposta, ma mi sta comunque dando delle basi per fare un salto di qualità.
D: Qual è la situazione del parkour in provincia di Alessandria?
R:
Per quanto ne so è praticamente assente. So che c’è una grossa community a Genova mentre nell’Alessandrino non ci sono gruppi organizzati, penso ci siano per lo più singoli individui che praticano questo sport.

D: Cosa ti auguri per il futuro?
R: Mi piacerebbe di vedere qui da noi un movimento attivo e in crescita. Ma non lo dico solo per me. Mi piacerebbe vedere i ragazzi che si avvicinano al parkour perché questa disciplina ti cambia la vita.
D: A te l’ha cambiata?
R: Sì, mi ha cambiato la mentalità. Io ero un ragazzo introverso, con il parkour ho iniziato a guardarmi con occhi diversi. A trovare, man mano che miglioravo, quella sicurezza che non avevo mai trovato prima. In più ti cambia la visione del mondo. Quando passeggio per strada non vedo semplicemente un muro o una panchina, quanto piuttosto un possibile percorso o un ostacolo da superare con un trick.
D: Cosa cambia rispetto agli altri sport?
R: 
Io ho giocato sia a calcio che a basket. Lì se non sei bravo vieni denigrato dai tuoi compagni e dai tuoi avversari, finisci ai margini di tutto. Il mondo del parkour non è così. Sì, ovvio, c’è competizione ma se vedi un ragazzo o una ragazza che non riesce a fare un determinato movimento non lo deridi ma anzi provi ad aiutarlo. Durante i contest tutti gli esercizi sono accompagnati da un applausi.

D: Rimane comunque una disciplina piuttosto dura.
R: Certo, per fare parkour bisogna avere una preparazione fisica e mentale importante. Bisogna viaggiare per step senza superare i propri limiti. Insomma, crescere lentamente, gradino dopo gradino.
D: Anche perché il rischio infortunio è alto.
R: Come in quasi tutti gli sport. Però se non si presta attenzione ai movimenti si rischia di farsi davvero male. Io ad esempio mi sono rotto il tendine rotuleo, ma è avvenuto perché provavo senza mai fare riscaldamento e questa sciocchezza alla lunga l’ho pagata. Poi c’è anche una componente di sfortuna, nel mio caso la mia scarpa è scivolata su una lastra di marmo durante un salto.
D: Ma senza un’adeguata formazione si rischia di più?
R:
Direi di sì, una guida esperta può sempre essere d’aiuto. Io sono stato un autodidatta per tanto tempo. Guardavo i tutorial su YouTube e mi confrontavo con i miei amici.

D: Cosa diresti a chi vuole avvicinarsi a questo mondo.
R: Di farlo usando la testa. Di metterci passione ma anche consapevolezza dei propri limiti. Questo permette di fare parkour in sicurezza. Certo, se esistessero strutture apposta sarebbe anche meglio. Ci guadagneremmo tutti.
D: Sogno nel cassetto?
R: 
Unire il parkour con la moda. Sono molto appassionato di abbigliamento e sarebbe un sogno riuscire a unire queste due mie vocazioni. Sarebbe davvero bello raccontare moda e parkour attraverso shooting e video.

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