Autore Redazione
lunedì
1 Agosto 2022
10:24
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Cronaca

Semplicemente sentire. Recensione di TelePasolini al Festival Tramonti

Questa settimana il festival teatrale Tramonti, ideato da Elena Forlino e Davide Fabbrocino, continua da mercoledì 3 a domenica 7 agosto con lo spettacolo “Habitat naturale" con Elisabetta Granara
Semplicemente sentire. Recensione di TelePasolini al Festival Tramonti

GAMALERO – “Riusciamo più a sentire la poesia?” E’ sull’ascolto, sull’attenzione che svela assonanze e musicalità che punta “TelePasolini “ di Mele Ferrarini, presentato al festival teatrale Tramonti, organizzato dall’associazione Primo Piano APS e ideato da Elena Forlino e Davide Fabbrocino.  Il festival è ambientato in più luoghi, ha lo scopo e l’ambizione di portare all’aperto, in estate e in posti insoliti il teatro di qualità e aderisce all’intento dell’associazione Primo Piano di diffondere la cultura nella nostra provincia. Ogni spettacolo, presentato da professionisti provenienti da tutta Italia, è proposto in cinque sedi diverse secondo un ordine preciso: il mercoledì all’azienda agricola La Rapa Bendata a Serravalle Scrivia, il giovedì alla locanda Il Grande Airone a Castellania, il venerdì alla Baita Rio Gorzente a Bosio, il sabato al circolo Arci La Baracca di Sottovalle, frazione di Arquata, e la domenica a Gamalero, nella piazza Aldo Moro.Il prossimo appuntamento sarà, dal 3 al 7 agosto, con uno spettacolo con Elisabetta Granara: “Habitat naturale”. Il programma di Tramonti è consultabile sulla pagina FB www.facebook.com/primopianoaps

Ieri, domenica 31 luglio, TelePasolini è arrivato a Gamalero, con una potenza evocativa e una vitalità provocatrice insolite in uno spettacolo presentato in una piazza di paese, di fronte ad un pubblico non certo di nicchia e, tuttavia, catturato da un esperimento teatrale così intenso. Ferrarini recita “Le ceneri di Gramsci” e “Il pianto della scavatrice”, due poemetti pasoliniani contenuti nella stessa raccolta pubblicata nel 1957. Alla base l’intento di non cadere nel retorico o nel celebrativo, per semplicemente stimolare all’ascolto, indurre lo spettatore ad approfondire in seguito quanto sentito, inoculare interesse e desiderio di lettura. Due i registri utilizzati: quello già nella presentazione definito dadaista, nel primo poemetto, e uno stile più lirico nel secondo.  L’inizio è spiazzante. Le ceneri di Gramsci, lirica in cui il poeta esprime il suo pensiero diviso tra razionalità dell’ideologia comunista e amore non politico, ma istintivo, per la vitalità del mondo delle borgate, è recitato a spezzoni, intervallati da ronzii simili ad uno zapping tra diversi canali radio o televisivi. Sembra un puzzle, in cui i pezzi si collegano attraverso accenni di canzoni, rimandi a infinite puntate di serie televisive e continui cambi di registro, di parlata dialettale (dal veneto al romanesco), di tonalità. Eppure, tra tanta segmentazione e tante variazioni vocali, dopo qualche attimo attonito, il testo si segue e le terzine di endecasillabi si comprendono nella loro sequenza. Si condivide un nuovo alfabeto sonoro, che passa dalla difficoltà per sondare e stimolare un’attenzione più acuta, quell’attenzione sempre sopita dalla banalità. E’ qui che Ferrarini opera il paradosso di sfruttare l’estraniamento da bombardamento mediatico per veicolare parole che nulla hanno della scontatezza e dell’immediatezza del linguaggio televisivo e, sorprendentemente, l’esperimento funziona.  Lo stile cambia con il secondo poemetto. “Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato, non l’aver conosciuto”. Inizia così “Il pianto della scavatrice”, cui Pasolini attribuisce un grido umano di fronte alla fine di una fase della storia e all’inizio di un boom economico che porterà maggiori disparità tra i ceti sociali. Ferrarini, con parrucca e occhiali neri, parla attraverso la maschera del poeta, tocca vertici di lirismo e accorda i versi alla musica della kora, l’arpa africana del Mali di Sebastiano Morgavi.  Da maschera il protagonista diventa solo voce che interpreta, quando si libera del travestimento pasoliniano, mentre ormai lo spettatore è cullato dagli endecasillabi malinconici e profetici che si situano tra passato e futuro. Adesione all’istinto, passione per gli aspetti rozzi e vitali di un’umanità inconsapevole e irraggiungibile raffinatezza estetica nel saper cogliere e raccontare tutto ciò. E’ la perfetta lucidità nella nostalgia, nella percezione del presente e della sua evoluzione che rimane impressa e che fa di TelePasolini uno spettacolo raffinato, che centra lo scopo di suscitare interesse e voglia di conoscenza. Lo studio sulla voce, le variazioni estetiche, i cambi di ritmo, di tono, di accento sono non solo virtuosismi interpretativi, ma un preciso codice che viene condiviso. La risposta all’iniziale quesito è: sì, si riesce a sentire la poesia, quando si scardinano le certezze e l’ascolto, più difficoltoso, viene rincorso e, infine, raggiunto.

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