15 Gennaio 2017
05:00
Aperto un fascicolo contro ignoti per la morte in carcere dell’allenatore arrestato per abusi su minori
ALESSANDRIA – La Procura di Alessandria ha aperto un fascicolo contro ignoti dopo il suicidio di Tonino Marci. L’allenatore di calcio, 63 anni, si è tolto la vita venerdì sera nella cella del Don Soria dove era rinchiuso dal blitz dei Carabinieri del Nucleo Investigativo di Alessandria, che martedì l’avevano arrestato nel suo appartamento per detenzione di un centinaio di foto e filmini amatoriali pedo-pornografici e per atti sessuali su minori. L’allenatore si è ucciso soffocandosi con un sacchetto di plastica. Questo quanto riferito anche al difensore di Marci, l’avvocato Massimo Taggiasco, dopo il ritrovamento del corpo senza vita nella cella, intorno alle 21 di venerdì. La Procura sabato ha disposto l’autopsia. L’incarico sarà conferito mercoledì e il giorno successivo dovrebbe essere eseguito l’esame autoptico. Tutti gli accertamenti serviranno a ricostruire l’esatta dinamica della morte dell’allenatore, il tipo di misure di sicurezza e sorveglianza disposte e adottate per un uomo in carcere con l’accusa di reati sessuali su minori.
Venerdì sera, ha spiegato, il Direttore del Don Soria Alberto Valentini non era ad Alessandria. Tonino Marci era stato però “separato dagli altri detenuti“. L’allenatore in quella cella d’isolamento sarebbe dovuto rimanere solo pochi altri giorni. Marci aveva già firmato il trasferimento al carcere di Vercelli, “disposto d’ufficio” perchè una delle strutture di detenzione dotate di sezioni specifiche per questa tipologia di reati.
Le prime giornate dietro le sbarre ad Alessandria, però, erano state “dure”. Lo aveva confidato l’allenatore all’avvocato Taggiasco, riferendo di “episodi di intolleranza” da parte di altri detenuti. Gli avevano sputato addosso. Il carcere per il legale non era “idoneo a tutelare l’incolumità” del suo assistito e per questo, ha spiegato, aveva chiesto i domiciliari. Marci, rimasto in cella, potrebbe aver iniziato a sentire anche l’angoscia degli anni di carcere che gli si prospettavano davanti. Fin dai primi colloqui l’allenatore aveva detto all’avvocato di essere “consapevole” della gravità delle accuse e delle sue “responsabilità“. Con il legale, ha aggiunto Taggiasco, Tonino Marci aveva poi iniziato a scavare nel suo passato, in una esperienza che aveva descritto “terribile“. Quella storia, però, è morta con l’allenatore.
L’uomo, negli anni, non avrebbe confidato quanto gli era accaduto neppure alle due sorelle che ieri sono arrivate ad Alessandria dalla Sardegna e da Roma. Sotto shock per quelle gravissime accuse e per la morte del fratello, le due donne hanno espresso la volontà di nominare un perito di parte per l’autopsia e chiedono “chiarezza“. L’allenatore, di origini sarde, di fratelli in tutto ne aveva nove. Quasi tutti hanno lasciato Villasimius e oggi vivono in diverse città d’Italia e all’estero. Molti da tempo non vedevano l’allenatore ma sembra che in famiglia l’uomo non avesse mai mostrato comportamenti che potessero anche solo far nascere il sospetto di quegli abusi su piccoli calciatori emersi dall’indagine dei militari della sezione investigativa del Nucleo Operativo dei Carabinieri, sotto la guida del Tenente Colonnello Giuseppe Di Fonzo. Con Tonino Marci venerdì è morto anche il procedimento penale nei suoi confronti, nato proprio da quelle indagini. Non si fermano, però, i delicati accertamenti su tutto il materiale sequestrato nell’alloggio al quartiere Cristo, sui primi racconti delle persone che, dall’arresto, aveva iniziato a trovare il coraggio di farsi avanti. Chi ha dovuto guardare in quell’orrore, registrato e fotografato, ora vorrebbe forse poter guardare a fondo anche nel mondo rimasto fuori dal quel bilocale al quartiere Cristo.