Autore Redazione
sabato
10 Febbraio 2024
11:13
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Tempo Libero - Alessandria

Alle origini del tempo. Recensione di Prometeo al Teatro Alessandrino

Parole antiche ed energia attualissima nell’allestimento di Eschilo della Compagnia PEM con Gabriele Vacis alla stagione di prosa del Comune di Alessandria con PdV
Alle origini del tempo. Recensione di Prometeo al Teatro Alessandrino

ALESSANDRIA – Il mito antico come la notte dei tempi e la ribellione, da sempre giovane come ogni nuova generazione che supera la precedente nel divenire e nell’eterno ritorno della storia dell’umanità. Ieri, 9 febbraio, la giovane compagnia PEM (Potenziali Evocati Multimediali), diretta da Gabriele Vacis e con la scenofonia di Roberto Tarasco, ha presentato al tantissimo pubblico del Teatro Alessandrino il suo Prometeo, tratto dalla tragedia di Eschilo.

E’ stato il secondo appuntamento della fortunata stagione di prosa organizzata dal Comune di Alessandria, in collaborazione con Piemonte dal Vivo e la partecipazione dell’Azienda Speciale Multiservizi Costruire Insieme. Anche ieri, e soprattutto in occasione di un’opera apparentemente così remota come una tragedia greca, è stato un piacere constatare una prevalenza di spettatori giovani, a dimostrazione dell’ottimo lavoro svolto dal Comune e dalle compagnie teatrali locali in collaborazione con le scuole.

Il Prometeo è stato il primo lavoro dei PEM, dopo il diploma alla scuola del Teatro Stabile di Torino, conseguito con il loro insegnante/regista Gabriele Vacis, e ha esordito nel 2022 al Teatro Olimpico di Vicenza. E’ in quell’occasione, con tre attori impossibilitati a debuttare, perché positivi al test del covid, che “è diventato il nostro Prometeo”, hanno spiegato i protagonisti durante un colloquio/prova aperta con i giovani spettatori nel pomeriggio di ieri. Con un cast necessariamente ridotto, la tragedia si è arricchita di parti narrative, di introduzioni e di collegamenti raccontati, in una sorta di lectio magistralis, dallo stesso Vacis, seduto a latere del palco. Una narrazione che fa risalire alle origini del tempo in un non luogo, dove “la tragedia è agita non da uomini ma da entità” e dove “la generazione degli Dei fa la guerra ai genitori, i Titani”.

Il mito racconta che il titano Prometeo, originariamente schieratosi con gli dèi vittoriosi contro i titani, dona agli uomini il fuoco contro la volontà di Zeus, intenzionato a lasciarli morire. Il fuoco è il principio della tecnologia e di tutte le arti, ovvero la conoscenza e il progresso, conquistati con la ribellione di chi già si era ribellato alla sua genìa. Incatenato ad una rupe da Efesto, l’immortale Prometeo sarà condannato dal re degli dèi ad avere il fegato divorato ogni giorno da un’aquila per l’eternità.

La poetica dei PEM e il lavoro dei loro anni di formazione si sono concretizzati in quell’esordio all’Olimpico. Una formazione, sotto la guida di Vacis, volta a “trovare situazioni che non siano quelle ideali”, ad adattare i loro corpi e le loro voci a spazi sempre nuovi e inconsueti, ad ascoltarsi sino a diventare un tutto pulsante di vita, che assorbe e poi esalta le singolarità. In Prometeo gli interpreti si muovono insieme, si fanno protagonisti, entrano ed escono dai loro personaggi, diventano ciò che viene anticipato dal racconto del loro regista, rendono riconoscibili i suoi collegamenti letterari e scientifici. Ritornano poi in un movimento collettivo continuo e fluido, in una rete di relazioni intensa, perché “l’unico modo per far sgorgare delle storie è creare delle relazioni”.  Prometeo è un’entità e la sua grandezza è resa dall’interpretazione di tre attori che interagiscono tra loro, si alternano sempre completandosi. Sulla scena nuda i protagonisti diventano loro stessi scenografia, i loro corpi evocano la rupe, le catene, le loro voci si accordano in canti arcaici, talvolta tribali e colmi di dolore e violenza.

La rappresentazione del mito è un rito che si rinnova, un tuffo in un luogo ai margini del conosciuto e in un tempo indefinito dove tutto si compie e tutto è spiegato. E’ lo stesso lasso atemporale che ritorna, racconta Vacis, in “Pyncher Martin” di William Goldwin (quello de “Il signore delle mosche”), ma anche in un aneddoto accaduto a Vancouver nel 2016, quando si riscontrarono attività cerebrali in un uomo deceduto di 87 anni. Nel finale del romanzo di Goldwin il protagonista ha immaginato di vivere ancora per alcuni giorni, dopo essere annegato, così come le onde gamma del cervello dell’uomo di Vancouver hanno continuato a funzionare post mortem. E’ il momento estremo di percezione aumentata che contiene la vita, quello che siamo stati e che ci ha preceduto. E’ il tempo del mito, della ribellione di Prometeo che consuma il suo stato di morte in vita nell’ostinazione e nell’orgoglio. Lui, che vede avanti, possiede un segreto che si rifiuta di rivelare a Zeus. Sa che gli dèi possono essere sconfitti e sa che verrà il tempo della sua liberazione, perché ogni generazione sovverte la precedente. Nello stesso modo Eschilo, 2500 anni fa, nell’epoca in cui si stava costruendo la democrazia, scrivendo che “Zeus è un tiranno e la giustizia è di sua proprietà”, sapeva di creare le basi del ragionamento sulle forme di governo.

E così, in un tempo fermo che pone le basi del divenire, tra corpi che si muovono come onde, tra echi di tempesta e ali di aquila materializzate da bandiere fatte roteare, Prometeo parla di ribellione, di progresso, di tirannide e della sua alternativa. Parla ancora oggi, grazie all’interpretazione intensa, addirittura pulsante, dei dieci bravissimi attori accompagnati da Vacis. La loro giovinezza e la loro perfezione trasmettono un senso di eternità sospesa e, allo stesso tempo, filtrano parole antiche con un’energia concreta e attualissima. E’ così che la tragedia, quella di Eschilo, la più antica in assoluto, può vivere, nutrirsi e nutrire.

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