24 Settembre 2024
05:57
La retorica “sbagliata” dell’eroe morta al Pronto soccorso
ALESSANDRIA – “Chiamarci eroi è stato un errore, niente di più scorretto e lontano dalla realtà“. La frase è di un medico di Alessandria che qualche giorno fa ha commentato sul nostro profilo Facebook la notizia dell’aggressione avvenuta la settimana scorsa in Pronto Soccorso. Una considerazione che sottolinea le conseguenze della mitizzazione di persone che svolgono meglio possibile il proprio lavoro “in drammatica sofferenza”, ad Alessandria come “su tutto il territorio nazionale purtroppo“.
Il personale sanitario, ha aggiunto il medico, è costituito da “medici, infermieri, operatori socio sanitari che ce la mettono tutta ogni giorno per dare una risposta tanto all’infarto, al politrauma della strada quanto alla gastroenterite, al mal di gola, che potrebbero e dovrebbero essere gestiti in altri contesti“.
Quel riferimento ad “altri contesti” racconta un aspetto critico di questi anni e cioè un aggravamento delle condizioni sociali che cercano una valvola di sfogo nei Pronto soccorso. Lo ha spiegato in una intervista il dottor Matteo Traversa (Ciriè) alla Stampa, svelando come nella struttura in cui lavora “come altrove, arrivi di tutto: persone in crisi per abuso di droghe, o di alcol, pazienti psichiatrici. Ma anche gente che, non trovando modo di fare gli esami prescritti, e non potendo permettersi di farli privatamente, chiede a noi di farli. E noi non possiamo“.
Le difficoltà sempre più diffuse nelle fasce deboli viene quindi scaricata anche sui luoghi di primo soccorso che scontano, in molti casi, la frustrazione dell’assenza o progressiva limitazione delle risposte. Molto banalmente le prenotazioni di visite mediche, per esempio, sono diventate un frequente percorso digitale, con rapporti umani sempre più rarefatti, contribuendo a creare nel paziente la convinzione di essere abbandonato. Senza dimenticare le attese per le visite sempre più dilatate, accelerabili solo attraverso il percorso privato. Nelle emergenze dunque le persone fisiche, come il personale del Pronto soccorso, diventano un bersaglio.
“La retorica dell’eroismo“, poi, agli occhi di molti, ha portato a concepire gli operatori sanitari in persone totipotenti, aggiungendo responsabilità a ruoli già difficili e stracolmi di responsabilità delicate, finendo per aggravare una situazione difficile. Lo ha spiegato un altro operatore, che, ha scritto sulla nostra pagina, scoraggiato dopo “dieci anni di questo mestiere, 60 ore a settimana“. Le sue affermazioni sono forti e confermano il massimo impegno per una professione svuotata ora di alcuni dei principi iniziali, “senza più provare la píetas di una volta“. Le aggressioni sono il culmine di tensioni quotidiane. Le parole di questo lavoratore grondano amarezza. “Avete logorato, ammazzato la nostra parte migliore, quella per cui lo abbiamo scelto, la purezza del giovane medico e infermiere che fanno questo mestiere perché amano autenticamente il prossimo. Io li guardo ogni giorno, sfatti, distrutti, di corsa con mille pensieri, mille richieste, ogni utente a urlare per sé stesso, e poi a ficcare coltelli nella schiena a ogni sanitario, centinaia di persone salvate, ma nessuno mai dice un grazie, migliaia di dissecati, infartuati, ictati, settici, traumatizzati, tutti subito riconosciuti e gestiti, ma nulla va bene. Mai. E il volto degli infermieri, dopo un solo mese di urgenza, è un altro volto, già a pezzi, stanco, devastato, schiacciato, frustrato, totalmente rassegnato“.
L’aggressione avvenuta ad Alessandria, come quelle in altre parti d’Italia, fotografa una distanza sempre più forte e pericolosa tra le persone. Il lettore che lavora nella struttura evidenzia questa distanza, lo smarrimento per interventi quasi miracolosi che si danno per scontati. “Capita raramente, girando sui social per altri motivi, di incappare casualmente su profili aperti di persone con un nome famigliare. Persone che abbiamo assistito in passato. Pazienti veri. Persone arrivate in fin di vita in shock room o assistite con i mezzi di emergenza. Persone spesso traumatizzate in condizioni critiche, incoscienti, ipotèse, che soltanto la rapidità d’azione della nostra splendida equipe, benché interrotta di continuo da chi pretende di essere visitato prima dei veri codici rossi, ha letteralmente strappato dalla morte. E ogni volta provo felicità e soprattutto orgoglio per quanto siamo bravi. Ebbene, mai una volta capita che uno solo di questi utenti, abbia scritto e detto un “grazie” a chi ha evitato che finissero sotto terra“.
Le aggressioni dunque forse sono solo l’ultimo dei problemi. La questione è il rancore che cresce con il serio rischio che guasti l’umanità.