3 Gennaio 2025
16:26
Futuro ex Ilva, americano Kestenbaum ha visitato anche stabilimento di Novi
NOVI LIGURE – Due miliardi e mezzo di dollari appena entrati in cassa, una grande competenza nel settore e una passione che in realtà è una sfida: risanare aziende siderurgiche quasi decotte, o comunque in enorme difficoltà, per poi rivenderle. Si chiama Alan Kestenbaum, è uno dei due fondatori di Bedrock Industries, il fondo di investimenti con quartier generale a Miami. Secondo alcune fonti autorevoli, Kestenbaum starebbe seriamente valutando di issare la bandiera americana sugli stabilimenti dell’acciaieria ex Ilva. E non si esclude che al suo fianco possa scendere in campo l’italiana Arvedi, rimasta fuori per il momento dalla partita a seguito della decisione di Metinvest di puntare tutto su Piombino e di lasciare perdere Taranto con i suoi tormenti”. È quanto scrive Giusy Franzese sul settimanale ‘L’Espresso‘ in un articolo intitolato ‘Ultima chiamata per l’Ex Ilva‘.
Oltre all’accesso alla data room ottenuto dopo la presentazione della manifestazione di interesse attraverso il fondo Bedrock, Kestenbaum, sottolinea Franzese sul settimanale, “ha voluto vedere di persona gli stabilimenti ex Ilva recandosi a Taranto, a Genova e a Novi Ligure. Insomma, l’interesse è concreto e mai come ora il momento potrebbe essere quello giusto: il primo novembre scorso, infatti, Bedrock Industries ha perfezionato la vendita del gruppo siderurgico canadese Stelco ai connazionali di Cleveland-Cliffs. Un affare non da poco: Kestenbaum aveva acquisito nel 2016 l’acciaieria dell’Ontario, in procedura fallimentare con circa 500 milioni di dollari; ne è diventato il ceo, l’ha risanata e l’ha appena rivenduta per 2,5 miliardi di dollari. L’ex Ilva potrebbe essere la nuova scommessa“.
Nel caso, osserva Franzese, “il fondo americano dovrebbe comunque vedersela con altri pretendenti abbastanza agguerriti e motivati. A cominciare dal gruppo indiano guidato da Naveen Jindal, fratello più giovane di Sajjan, impegnato con la sua Jws a Piombino. In comune i due fratelli hanno la passione per la siderurgia, ma i Jindal interessati ora all’ex Ilva non hanno nulla a che vedere dal punto di vista societario con i Jindal che nel 2016 parteciparono in cordata con Cassa Depositi e Prestiti alla gara vinta poi (con tutte le note vicissitudini che hanno riportato l’acciaieria in mano statale) da ArcelorMittal. Anche Naveen ha visitato personalmente gli stabilimenti ex Ilva di Taranto, Genova e Novi Ligure. E qualche settimana dopo, accompagnato da un gruppo di tecnici esperti, in Italia è arrivato il figlio Venkatesh, 29 anni. Dicono che sia lui il vero fan di un’eventuale acquisizione del gruppo siderurgico italiano. Laureato a Yale, Venkatesh ha una sorta di ‘ossessione’ per l’acciaio green. Il gruppo ha già avviato nel novembre del 2023 i lavori per una grande acciaieria ecologica in Oman, la quale, entro il 2027, dovrebbe sfornare – attraverso due impianti – 5 mln di tonnellate di acciaio green di alta qualità. Taranto rappresenterebbe per il gruppo indiano ‘la porta’ in Europa. Ad attrarre sia gli indiani sia gli altri sono anche le risorse a disposizione di Taranto per la decarbonizzazione. A partire dal miliardo di euro del fondo di sviluppo e coesione alla base della recente intesa tra Acciaierie d’Italia, Ilva e Dri d’Italia per la realizzazione di un impianto di preridotto che servirà ad alimentare i futuri forni elettrici del siderurgico“.
Grande fermento, in vista della scadenza del 10 gennaio prossimo per la presentazione delle offerte vincolanti, anche a Baku, in Azerbagian. “Gli azeri – sottolinea – sono già presenti in Puglia con il consorzio Tap (20 per cento Socar), l’infrastruttura che trasporta il gas sulle nostre coste passando per la Grecia, l’Albania e il Mare Adriatico. Gli azeri sono pronti a posizionare nella rada di Taranto una nave di rigassificazione per alimentare il nuovo impianto di preridotto, che a sua volta servirà per i futuri forni elettrici dell’acciaieria. Nel quartier generale di Baku Steel stanno mettendo a punto l’offerta vincolante e il piano industriale per rilevare l’intera ex Ilva. Sullo sfondo restano le altre offerte ‘spezzatino’ (acquisizione soltanto di alcuni pezzi pregiati del gruppo, senza lo stabilimento di Taranto), che però i commissari straordinari non vorrebbero prendere in considerazione“.
La partita, comunque vada, rileva Franzese su ‘L’Espresso’, “non sarà facile. Accollarsi il salvataggio e il rilancio dell’ex Ilva richiede uno sforzo economico importante, nell’ordine di vari miliardi di euro. E anche una capacità di gestione dei rapporti con i sindacati, con le istituzioni e con le associazioni dei cittadini non di poco conto. Le vicissitudini giudiziarie di questi ultimi decenni e il fallimento del tentativo messo in campo da ArcelorMittal (colosso mondiale dell’acciaio) sono la dimostrazione che quando si parla di Ilva tutto può succedere“.
Per il momento, osserva, “ci sono due punti fermi. Primo: senza un acquirente, quello che era il più grande stabilimento siderurgico d’Europa è destinato a spegnersi in maniera definitiva (attualmente la produzione resta a livelli bassissimi, nonostante lo sforzo dei tre commissari straordinari, i quali, sin dall’inizio, hanno dovuto arrangiarsi con la cassa praticamente a secco). Secondo: con l’acciaio green – unico futuro possibile per una produzione sostenibile dal punto di vista ambientale – il numero di occupati diminuirà sensibilmente. E gestire le uscite senza traumi sarà un’altra sfida fondamentale“.