Autore Redazione
domenica
16 Marzo 2025
12:01
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Tempo Libero - Alessandria

L’epica della traversata. Recensione de “L’abisso” al Teatro Alessandrino

Letteralmente trascinante la narrazione di Davide Enia che ha concluso il cartellone principale della stagione teatrale del Comune di Alessandria con PdV
L’epica della traversata. Recensione de “L’abisso” al Teatro Alessandrino

ALESSANDRIA – “Noi siamo abituati alla morte, in mare la morte ci accompagna”. Così, con le parole di un sommozzatore che strappa vite e corpi al mare, inizia “L’abisso” di e con Davide Enia accompagnato da Giulio Barocchieri. Il monologo, presentato ieri 15 marzo al Teatro Alessandrino, è stato il sesto appuntamento del cartellone principale della stagione teatrale del Comune di Alessandria con la Fondazione Piemonte dal Vivo. La stagione proseguirà con il Segmento OFF venerdì 21 marzo al Teatro San Francesco, dove sarà in scena il Miles Gloriosus del Teatro della Juta.

Enia racconta di sbarchi a Lampedusa, “uno scoglio piatto dove il cielo ti frana addosso”, dove gli abitanti hanno da sempre accolto ciò che il mare ha portato. Racconta storie terribili iniziate in paesi lontani che incontrano altre storie, come quelle degli amici lampedusani che lo ospitano ogni volta che torna sull’isola, come quella del custode del cimitero, di un’anatomopatologa e dei pescatori che raccolgono cadaveri insieme ai pesci. Attraverso tutto ciò scorre un filo autobiografico fatto di silenzi e di parole dette solo dopo aver a lungo ascoltato.

Il monologo è tratto dal libro “Appunti per un naufragio” dello stesso Enia, nato da un invito da parte del collega tedesco Albert Ostermaier ad un festival letterario a Monaco di Baviera. Sia il libro che lo spettacolo riportano la sua esperienza di ricerca delle singole storie e di osservazione degli sbarchi dei profughi.

Pare da subito di galleggiare e di affondare in una luce liquida e blu, mentre Enia fa letteralmente precipitare nell’abisso con una narrazione che tocca vertici estremi di drammaticità, per poi risalire e toccare corde quotidiane e persino ironiche. E’ un ritmo perfetto che permette di assorbire il tragico senza alzare barriere e, al punto giusto, sedimentarlo con canti (insieme alla voce e alle chitarre di Barocchieri) che sembrano ancestrali e fatti di voci di marinai e grida d’aiuto. Si sente una lingua di suoni antichi e aleggia lo spaesamento che si legge negli occhi dei profughi scampati a torture e stenti inauditi.

Enia e suo padre, un medico cardiologo da poco in pensione, “muto come tutti i padri di Palermo” (qui si sorride) e giunto con lui a Lampedusa, sono accomunati da questo spaesamento, che li avvicina dopo tanti anni. Fanno loro stessi una traversata alla ricerca di un incontro reciproco e del riconoscimento di “una grammatica comune del sentimento” fatta di ascolti e di domande giuste. Centrale nel loro dialogo la figura dello zio, malato di cancro, ma pieno di vita come una stella che continua anche dopo la sua esistenza ad indicare la via.

E’ una narrazione epica, popolare nel senso più nobile e profondamente sonora, intrisa di accento siciliano, di canti dalle parole oscure ma evocative. Davide Enia è un cantastorie che emerge da una tradizione antica, quella dei cunti siciliani, e affabula con un’arte che non necessita di null’altro. Non servono scenografie, il saper raccontare storie è l’essenza del Teatro e le immagini mentali che ne sortiscono sono più forti e più vive di qualunque video e di qualunque foto. Al contempo, parole, gesti e registro tragico sono dosati con una perfezione che consente un’attenzione assoluta. Impossibile non portare con sé tutto ciò, anche a spettacolo finito. Ancora molti attraversano l’abisso e la storia si ripete come nel mito di Europa che attraversò il mare sul dorso di un toro, a ricordarci che siamo figli di una traversata.  “L’abisso” è da vedere per la sua verità e la sua potenza, indescrivibile altrimenti.

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