Autore Redazione
sabato
5 Aprile 2025
09:56
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Tempo Libero - Alessandria

Il tempo e l’immobilità. Recensione di “Un due tre – Sorelle” al Teatro San Francesco

Si è chiuso nel migliore dei modi, con un tutto esaurito per la Compagnia Stregatti, il SEGMENTO OFF della stagione di prosa del Comune di Alessandria con Piemonte dal Vivo
Il tempo e l’immobilità. Recensione di “Un due tre – Sorelle” al Teatro San Francesco

ALESSANDRIA – Inizia e segue le tappe del dramma cechoviano “Un due tre – Sorelle” della Compagnia Stregatti, riscrittura di “Tre sorelle” alla luce della sensibilità delle tre protagoniste-autrici. Lo spettacolo, la cui messinscena è firmata da Gianluca Ghnò, ha debuttato ieri, 4 marzo, nel tutto esaurito Teatro San Francesco, a chiusura del SEGMENTO OFF della stagione di prosa del Comune di Alessandria con Piemonte dal Vivo.

In scena, Assunta Floris, Giusy Barone e Simona Gandini, nei ruoli rispettivamente di Olga, Maša e Irina, le sorelle Prozorov che si lasciano vivere tra speranze disilluse, il desiderio frustrato di ritornare a Mosca, matrimoni falliti, amori irrealizzabili e la mancanza di un significato finale. Un dramma dal respiro corale, recitato a tratti all’unisono per sottolineare il sentimento comune (come nelle sottolineature caricaturali del disprezzo nei confronti di Nataša, prima fidanzata e poi moglie del fratello Andrej), che poi si delinea nelle singole vite con sfumature diverse.

Barone Floris e Gandini sono partite, per la riscrittura di “Tre sorelle”, da un esercizio di narrazione sviluppato in un seminario con Ascanio Celestini, dal quale sono nati tre monologhi non inseriti nello spettacolo, ma ad esso complementari e ascoltabili da un link presente nel foglio di sala. Sono narrazioni che sviscerano degli stati d’animo e delle esperienze ascoltate o vissute, fondamentali per infondere vita alle tre sorelle, diverse e unite da un tempo immobile eppure inesorabile.

Il dramma di Cechov racconta della vita monotona di provincia delle protagoniste e del loro fratello Andrej, intellettuale dalle grandi aspirazioni fallite. La loro casa è frequentata da ufficiali, in un’apparente tranquillità che, come sempre in Cechov, cela frustrazioni e infelicità destinate ad essere soffocate.

“Un due tre – Sorelle” segue la stessa sequenza temporale del testo, con un senso del passare del tempo antitetico alla postura seduta delle protagoniste, che ritornano a sedersi su tre poltrone frontali, immobili nel trascorrere degli anni. I periodi si susseguono e loro, man mano, si liberano di strati di abiti (forniti dalla Bottega Solidale dell’associazione S.I.E. ODV nell’ambito del progetto “Il recupero dell’anima”), come delle matrioske, appaiono uguali ma un po’ diverse. Aspettano, in quella che “come tutti gli anni è la serata delle maschere”, una festa che non ci sarà, mentre “intanto il tempo passa e noi non andremo mai a Mosca”. Ognuna reagisce diversamente, ma l’insensatezza del destino le coinvolgerà egualmente. Maša, infelicemente sposata, vivrà una storia d’amore irrealizzabile, Olga, promossa sul lavoro, vedrà svanire il sogno di abbandonare la provincia e Irina, cui il promesso sposo perirà in duello, troverà uno scopo nell’insegnamento.

Intorno a loro una costellazione di personaggi che fanno parte di un quadro comune di vita di cui nessuno coglie la finalità. Barone, con una bombetta e un paio di baffi, diventa Andrej, dalla parlata indecisa e tuttavia impositiva. Sua la triste e tardiva considerazione della pochezza della moglie (la meritatamente vituperata Nataša), dall’effetto comico come è spesso la vita. Gandini interpreta anche il pedante marito di Maša, mentre Floris regala una caratterizzazione gustosissima del cinico e anziano dottore.

L’ultima scena è introdotta da Simona Gandini e si immagina il vecchio giardino con, sulla destra, la terrazza di casa Prozorov, mentre la brigata di ufficiali, trasferita altrove, si congeda, lasciando Olga, Maša e Irina nella solitudine. La banda del reggimento suona (e non si può non sorridere a “La mia banda suona il rock” canticchiata sottovoce) e tutto torna immobile, ma tuttavia bisogna vivere, nonostante il lutto e il dolore. “Vivere e lavorare… e io lavorerò”, dice Irina e ancora la coralità prevale in un attaccamento alla vita, nonostante il mistero che la permea.

Assunta Floris, Giusy Barone e Simona Gandini sono perfettamente affiatate, una voce unica che si dirama in voci complementari, come un unico destino in forme diverse. L’un due tre del titolo svela la sua ragion d’essere nello slancio comune e finale, una rincorsa e un tuffo insieme nell’ignoto (“tra poco anche noi sapremo perché siamo al mondo, perché soffriamo… Ah, saperlo, saperlo!“). Un allestimento che rende merito per scavo psicologico alla poetica cechoviana, in una riscrittura moderna, veloce e capace di usare il registro comico, spingendo sull’ironia già ben presente nel testo. Per chi ama Cechov e per chi non ha ancora avuto la fortuna di conoscerlo.

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