“Non ho più una vita”. Nelle risposte del questionario della Cgil la voce stanca dei lavoratori dell’Asl
ALESSANDRIA – Chiedono “rispetto”, “considerazione”, una migliore organizzazione del lavoro e, naturalmente, un aumento salariale che riconosca la loro professionalità. Tra le corsie di ospedali e ambulatori dell’ASL AL si muove un’umanità stanca ma ancora determinata a fare bene il proprio mestiere. Dal questionario promosso dalla Funzione Pubblica CGIL di Alessandria emergono voci diverse che convergono su un punto comune: “l’organizzazione del lavoro va ripensata con metodo, rispetto e partecipazione”.
Sono 1.037 le lavoratrici e i lavoratori che hanno risposto in forma anonima all’indagine sul benessere organizzativo dell’ASL AL, intitolata “La tua voce per una sanità migliore”. L’iniziativa è nata con l’obiettivo di ascoltare chi opera ogni giorno nella sanità pubblica: “Per capire e cambiare in meglio“, hanno spiegato la Segretaria Generale delle Fp Cgil, Francesca Voltan e Vincenzo Costantino, Funzionario della Camera del Lavoro con delega alla Sanità Pubblica, affiancati dai rappresentanti RSU Antonio Lace ed Elena Cipollini.
I dati, raccolti tra il 1° settembre e il 15 ottobre 2025 ed elaborati dall’informatico della Cgil Paolo Robutti, restituiscono un quadro ampio e rappresentativo dell’intera azienda sanitaria, con la partecipazione di personale sanitario, tecnico, amministrativo e ausiliario. Il campione è a forte prevalenza femminile, il 68,4%, e con un’anzianità media elevata: oltre due terzi dei lavoratori è in servizio da più di dieci anni.
Più della metà degli intervistati, il 54,4%, si dichiara complessivamente soddisfatta del proprio lavoro, ma solo il 16% si sente realmente valorizzata. È il segno di una frattura tra la motivazione personale e il riconoscimento aziendale. Molti chiedono una leadership più presente e vicina ai reparti: “Un coordinatore non si può occupare di più reparti”, si legge in una delle risposte. Il richiamo all’ascolto è ricorrente e attraversa decine di testimonianze. “Coinvolgere il personale e non arrivare con decisioni già prese”, scrive un’altra lavoratrice.
L’aspetto più allarmante riguarda il malessere psicofisico. Il 71,8% dei lavoratori dichiara di percepire stress legato al lavoro, e l’85% afferma che questo influisce anche sulla vita privata. Le parole più ricorrenti nelle risposte aperte parlano di “stanchezza, carichi eccessivi e personale insufficiente”. Nelle testimonianze, il capitolo dei turni diventa un racconto di vita: weekend saltati, riposi rinviati, tempo privato che si assottiglia. “Non ho più una vita”, confessa una dipendente. “Assumete personale, vogliamo turni regolari”, esortano i lavoratori, perché il benessere non è un lusso ma la condizione minima per garantire cure di qualità.
Sotto la superficie delle frasi si intravede una stanchezza cronica che chiede una risposta strutturale. Molti operatori sollecitano turni più sostenibili, una revisione degli orari, politiche di prevenzione del burnout e spazi di ascolto psicologico. “In realtà, in Asl Al queste figure sono presenti – hanno evidenziato le RSU Lace e Cipollini – Da ventiquattro anni c’è il CUG, il Comitato Unico di Garanzia, ci sono i consiglieri di fiducia e gli sportelli con gli psicologi. Dalle risposte del questionario, però, emerge che una parte dei lavoratori non lo sa. E questo impone una riflessione”.
Nel capitolo dedicato alle competenze, la formazione viene descritta come episodica, non come una leva di crescita. Allo stesso modo, il 74% considera inadeguato il metodo di valutazione della performance e vede il sistema di riconoscimenti come opaco. “Non esiste valorizzazione del merito”, scrive qualcuno. Una frase racchiude il senso di molte voci: “Un lavoratore che riceve progressioni economiche, opportunità di crescita, nuovi stimoli… è un lavoratore felice”. Dietro queste parole c’è la richiesta di una scala di carriera chiara per tutte le professioni, sanitarie e non, e di valutazioni eque, fondate su criteri condivisi. La CGIL invita la direzione dell’ASL a ripensare i modelli di leadership, formando i quadri su comunicazione e gestione del personale e creando tavoli permanenti di confronto tra direzione e lavoratori.
Al centro di molte risposte c’è poi il clima relazionale. Si cercano rispetto e dignità nel lavoro quotidiano. “Non dovrebbe essere permesso di comportarsi con il personale in maniera sgarbata… educazione e rispetto devono essere alla base”, riporta un’altra testimonianza. Accanto alle critiche più dure, si intravede anche il desiderio di squadra: “Serve più collaborazione tra figure professionali”.
La narrazione tocca anche il territorio e i servizi più fragili. Si chiede di intervenire su SerD e CSM, di coinvolgere i distretti nelle scelte organizzative e di rendere l’azienda più attrattiva con politiche di accoglienza per i nuovi professionisti. Le proposte non mancano: adeguare il numero di infermieri al numero di assistiti, garantire un periodo di addestramento prima di ogni spostamento di reparto. “Facciamo tutti parte di un’équipe, nessuno è superiore all’altro. Se una figura ha più conoscenze, perché non condividerle?”, si legge in uno dei suggerimenti dei lavoratori.
Sullo sfondo restano i nodi economici. “Aumento salariale, riconoscimento professionale”, “stipendi in linea con gli altri Paesi europei”, “incentivi per chi dimostra attaccamento al lavoro”, scrivono, e chiedono, in molti. Accanto a queste rivendicazioni emergono richieste concrete e quotidiane: buoni pasto alternativi alla mensa, divise migliori, attrezzature e macchinari più moderni.
Dai risultati emerge un messaggio chiaro. Chi lavora nella sanità pubblica vuole essere ascoltato. La CGIL interpreta l’indagine come un punto di partenza per un percorso di confronto con la direzione dell’ASL, con l’obiettivo di trasformare i dati in azioni concrete. “La nostra indagine è un’occasione – spiega la Funzione Pubblica CGIL – Il personale non vuole privilegi ma chiede di poter lavorare con serenità, rispetto e fiducia”. Un messaggio che, se raccolto, può portare verso una sanità pubblica capace di prendersi cura non solo dei pazienti ma anche di chi ogni giorno li assiste.