Autore Redazione
sabato
27 Dicembre 2025
15:00
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Cronaca - Wonderland Eventi - Piemonte

San Nazzaro Sesia: l’abbazia fortificata che racconta mille anni di storia piemontese – Piemonte da Scoprire

San Nazzaro Sesia: l’abbazia fortificata che racconta mille anni di storia piemontese – Piemonte da Scoprire

PIEMONTE – È noto quanto il territorio italiano contenga bellezze storiche e architettoniche nascoste. Mentre sono famosissimi i monasteri fortificati della Romania e le abbazie portoghesi costruite durante la Reconquista, ben pochi conoscono l’Abbazia fortificata di San Nazzaro Sesia, in provincia di Novara e alle porte di Milano, uno dei complessi monastici più particolari e significativi del Piemonte.

La zona era abitata da una tribù gallica di Cimbri, ma la fondazione del paese risale probabilmente all’età Longobarda, durante la quale la regina Teodolinda fece costruire un primo monastero dedicato ai santi Nazario e Celso, gestito da monaci provenienti dall’abbazia di Bobbio. Intorno all’anno Mille la posizione era divenuta strategica poiché si trovava a poca distanza da un importante guado del Sesia, che faceva risparmiare ai viaggiatori tre giorni di cammino. Grande era il passaggio di merci e di valori, grazie alle strade che si intersecavano: la via Regis da Vercelli alla Lombardia, le vie della Calce e della Lana che collegavano la piana alle valli, la via Francigena e la Biandrina. Il potente Riprando, vescovo di Novara, decise quindi di costruire nel 1040 un’abbazia sui pochi resti sopravvissuti del precedente monastero.

Nel Duecento il ruolo strategico e commerciale dell’Abbazia era di tale importanza che venne pesantemente fortificata, a protezione di assalti e scorrerie che erano consueti in quel periodo storico travagliato. Le mura con i camminamenti per gli armigeri e i merli ghibellini furono circondate da un fossato e si accedeva all’interno del complesso abbaziale attraversando un ponte levatoio; in questo modo la popolazione poteva rifugiarsi all’interno della struttura in caso di attacco. L’abbazia fu quindi affidata ai Benedettini, che si occuparono della bonifica dei terreni circostanti, della canalizzazione del fiume Sesia e si dotarono di un hospitale per pellegrini e viaggiatori. Grazie alle importanti decime l’abbazia divenne potentissima, governando sui terreni e sulle anime di un vasto territorio, che dall’alta valle Sesia arrivava alle pianure di Novara, Vercelli e persino Pavia.

Dopo alcuni secoli, iniziò un periodo di decadenza fino alla nomina dell’abate Antonio Barbavara nel 1429, che diresse con tenacia la ricostruzione dell’abbazia fino alla sua morte avvenuta nel 1467. Fu lui a trasformare la maggior parte del sito da romanico a tardo gotico, a ricostruire le parti in rovina e a migliorare la situazione dei campi e la vita dei contadini della zona. L’immagine ora offerta al visitatore, almeno per le parti non rovinate dal tempo, è per la maggior parte opera sua. In seguito, il complesso smise di ospitare i monaci e decadde gradualmente, fino all’arrivo di Napoleone nel 1801, che soppresse le proprietà ecclesiastiche e vendette l’abbazia ai fratelli Isnard che la utilizzarono come cascina. Fu solo nel secolo scorso che il complesso fu in parte recuperato e ristrutturato grazie all’opera di enti e privati cittadini.

L’antica struttura benedettina ha conservato nei secoli gli elementi caratteristici della struttura difensiva uniti a quelli del ricetto e della preghiera: davvero un raro esempio di abbazia fortificata in Pianura Padana, ma anche nel resto d’Italia. Il complesso è circondato da una cinta muraria con torrette angolari di forma circolare, e comprende un alto campanile romanico, un quadriportico formato da due imponenti corpi paralleli che si innestano sulla facciata della chiesa costruita in stile gotico lombardo, e un elegante chiostro con un ciclo di affreschi quattrocenteschi dedicati alla vita di san Benedetto.

Il campanile è la parte più antica del complesso e risale alla metà dell’XI secolo. Alto ben 35 metri, dalla sua sommità si controllava il guado del fiume e in caso di assedio poteva fungere da struttura di difesa. Per la sua costruzione venne utilizzato il sistema dell’opus piscatum romano: ciottoli del fiume Sesia posti a spina di pesce, intervallati da mattoni pieni, un’opera solida a basso costo. Le pietre angolari furono invece prese da antiche costruzioni romane, come conferma l’iscrizione latina su una di esse. Un’altra ha invece un incavo al centro: la leggenda narra che l’abate Barbavara imponesse come punizione ai peccatori di dare un colpo con la testa al centro di essa. Visto la profondità del buco, la popolazione locale doveva essere piuttosto birichina.

Presso l’ingresso della chiesa, edificata nel 1450 in stile gotico lombardo, si trova il quadriportico con le due strutture ancora sopravvissute del primitivo nartece. La struttura probabilmente era dedicata ad attività legate all’ospitalità dei viaggiatori, al commercio e alle opere assistenziali.

Il portale è una copia novecentesca identica all’originale, ora a Palazzo Madama a Torino. Fate attenzione alle formelle che lo decorano: appaiono identiche, ma in realtà sono completamente diverse una dall’altra. Se invece di entrare da questo portale ci dirigiamo verso il chiostro, ci ritroviamo in un ambiente di grande bellezza ed eleganza, che dona un senso di serenità al visitatore. È formato da un porticato con arcate e volte a crociera che formano i lati di un quadrato; sulle pareti sono visibili i resti di uno straordinario ciclo di affreschi raffigurante la vita di San Benedetto da Norcia, fatti da un ignoto autore. Recenti restauri hanno portato alla luce diverse scene, con un itinerario che parte dalla nascita del santo e arriva alla sua morte; al di sotto di ogni affresco è possibile vedere una didascalia nel volgare del 1400 che spiegava ai visitatori il senso dell’immagine dipinta con la cura e la ricercatezza tipiche delle miniature medievali. Suggestiva è la figura della balia del piccolo Benedetto, raffigurata con gli occhiali, una novità per l’epoca, così come il momento della morte del santo, che avviene in piedi, sorretto dai monaci e alla presenza di un medico.

Dal chiostro si accede all’interno della chiesa per trovare un ambiente molto sobrio, ma con due notevoli affreschi. Il primo si trova nella navata destra e raffigura San Nazario a cavallo, con San Celso e un altro personaggio, mentre sull’altro lato si possono vedere Santa Caterina d’Alessandria e San Rocco. L’opera, di grande eleganza, è stata dipinta dal pittore di Galliate Giovanni Antonio Merli nel 1480, mescolando lo stile gotico con un nuovo gusto rinascimentale.

L’altro affresco presente nella chiesa è una Madonna col Bambino realizzata nel 1464, con un effetto particolare e molto bello. La Vergine in trono tiene in braccio Gesù che stringe un cardellino, circondata da angeli musicanti sotto una struttura dalla volta a botte che crea una suggestiva illusione ottica. Il piccolo uccello richiama un’antica leggenda cristiana legata alla Passione di Cristo.

 

L’immagine è completata dalle figure di San Sebastiano e dal crudo martirio di Sant’Agata, con un forte contrasto tra la raffinatezza degli abiti e la brutalità dei carnefici. L’affresco conta diciotto personaggi, oltre al cardellino, e invita a una lettura lenta e attenta.

L’abbazia fortificata dei Santi Nazario e Celso cela quindi molte particolarità e bellezze, inconsuete in un paese di 700 abitanti; la visita non può che stupire e suscitare emozione.

 

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