Autore Redazione
lunedì
25 Settembre 2017
05:00
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Cronaca - Alessandria

L’altra faccia della notte alessandrina: le mappe della prostituzione

Il racconto di quanto avviene ogni notte ad Alessandria.
L’altra faccia della notte alessandrina: le mappe della prostituzione

ALESSANDRIA – Per loro la lingua italiana ha coniato molti termini. Ma tra tutti quelli entrati nel linguaggio comune, dai più volgari passando per i più aulici, ce ne è uno che racchiude in sé – quasi come in uno scrigno degli opposti – un romanticismo melanconico. Del resto il vocabolo lucciole, coniato nel 1833 per indicare quei minuscoli coleotteri che con la loro luce illuminavano le campagne, più che un’idea di pace e serena malinconia non può trasmettere. Ma quando questo viene associato alla prostituzione, con chiaro riferimento alla fredda luce dei lampioni sotto cui ragazze, spesso giovanissime e strappate alla loro terra per essere sessualmente sfruttate, passano intere notti in attesa dei clienti alla ricerca del brivido di una manciata di minuti… beh la sua accezione cambia del tutto.

Geografia della prostituzione alessandrina

E se si pensa che il problema della prostituzione riguardi esclusivamente lugubri periferie di grandi città ci si sbaglia di grosso. Perché ad Alessandria questo dramma si consuma ogni notte. Ed è ben visibile a tutti, senza nemmeno doversi spostare troppo dal centro cittadino. Basta aspettare il calare della sera e fare un giro sugli spalti per capire quanto la situazione sia ben più grave di quanto ci si possa immaginare. Nel solo territorio cittadino sono ben sette i punti dove giornalmente, a partire dalle 22, ragazze provenienti per lo più dai Paesi dell’Est Europa e da svariate zone dell’Africa mettono in vendita il loro corpo. Partendo dalla rotonda in fondo a via Marengo si inizia un percorso che ruota tutto intorno ad Alessandria. Si passa così a via Ennio Massobrio, spalto Marengo, Lungotanaro Solferino, spalto Borgoglio per arrivare infine a spalto Gamondio con piccola digressione in via San Giovanni Bosco. Un anello del piacere che circonda e assedia Alessandria.

Ma anche i sobborghi cittadini non sono esenti dal fenomeno. Prendiamo ad esempio i due più popolosi e vicini alla città: Spinetta Marengo (foto seguente) e San Michele. Lungo la strada che va da Alessandria alle zone della mitica battaglia napoleonica si incrociano almeno sei punti dove le prostitute esercitano il loro mestiere. Il primo si trova nei pressi di via Grilla, poco dopo il ponte sul fiume Bormida. Proseguendo poi sulla SR10 si arriva un primo distributore di benzina, per passare alla rotonda che porta in via della Stortigliona. Da qui si procede ancora sulla SR10 per incrociare altri tre punti ‘strategici’ tra distributori e il piazzale del cimitero di Spinetta Marengo.


Situazione analoga a San Michele dove in via Giordano Bruno (foto seguente) – ancora territorio cittadino – si possono trovare un gran numero di ragazze provenienti soprattutto dalle zone dell’Africa. Presso il distributore poco prima del cavalcavia, si trovano saltuariamente anche ragazze dell’Est Europa che, sedute sulla loro automobile, aspettano al caldo nelle notti d’inverno i clienti. Superato il cavalcavia in direzione Astuti si incontrano altri punti scelti prevalentemente da transessuali di origini sudamericane.

Questi sono i luoghi della prostituzione alessandrina e lì si trovano le ragazze. Sempre loro, sempre le stesse. Perché ognuna ha la sua zona. Luoghi prestabiliti che servono a facilitare il ‘cliente’ per ritrovare quella piuttosto che quell’altra ragazza. “Quasi ognuna di noi ha il suo angolo di marciapiede e lì deve stare. Altrimenti sono guai (ovvero botte, ndr)”, ci dice una ragazza che avviciniamo con la promessa di non rivelare nulla di lei per paura di essere riconosciuta. A colpirci principalmente è quel “lì deve starci. Non sono infatti le ragazze a decidere dove andare e quando andare. Addirittura c’è chi paga una tariffa quotidiana al protettore o a chi gestisce quella zona per esercitare uno dei mestieri più vecchi del mondo. E qui si apre un doppio percorso. Quello delle ragazze provenienti dall’Est Europa, per lo più romene, il cui accesso in Italia è garantito dall’appartenenza alla Comunità Europea del loro Paese, e donne provenienti dall’Africa.
Sono infatti queste ultime a subire i trattamenti peggiori. A partire da prima del loro arrivo in Italia. Una storia già letta e sentita, ma che è vera e ancora attuale. Tutto inizia nel loro Paese d’origine dove sedicenti individui promettono in Italia – come in altre zone d’Europa – una vita migliore. Il pagamento per questo viaggio è molto alto e varia dai 10 ai 50 mila euro. Arrivate nel Vecchio Continente le ragazze hanno l’obbligo di saldare il proprio debito. Che spesso non viene riscosso da chi ha organizzato per loro il viaggio. È infatti usanza che i debiti delle ragazze vengano acquistati da seconde parti. Da questo momento del racconto entrano in scena altri personaggi. Si tratta delle Madame, ovvero ex prostitute il cui compito, in questa organizzazione criminale e molto ben radicata, è di accogliere le giovani e farsi restituire con gli interessi il loro debito a cui si aggiunge il pagamento di vitto e alloggio, oltre che l’affitto dei pochi centimetri di asfalto dove si prostituiscono. Un percorso lungo anche 10 o 15 anni dove non sono esenti maltrattamenti di ogni tipo se i guadagni sono ben inferiori alle aspettative.
A volte, invece, succede che le ragazze vengano vendute dalle loro famiglie. “Sono la quinta di sei fratelli e sorelle. Un giorno al mio villaggio è arrivato un uomo. I miei genitori hanno detto che dovevo andare con lui. Ora eccomi qui in Italia e su una strada”, racconta invece una giovane proveniente dall’Africa. E lo fa con la voce rotta, guardandoci come se fossimo gli unici amici visti da lì a molto tempo. “La nostra è una vita che non ci siamo scelte. Ma è meglio di tante altre, le fa eco un’altra prima di farci capire che è tempo di andarcene per non spaventare i clienti.

Da dove vengono le prostitute

Come detto le ragazze che si trovano quotidianamente sui marciapiedi di Alessandria e dei suoi maggiori sobborghi, provengono principalmente dai Paesi dell’Est e da diversi Paesi dell’Africa tra cui soprattutto Nigeria e Niger. In una serata infrasettimanale il numero di ragazze si aggira intorno ad almeno 30 unità. Dato praticamente raddoppiato nel weekend. Di queste il 36% proviene da Romania e Albania (da quest’ultimo Paese una parte decisamente inferiore), mentre il 50% proviene dall’Africa. Le restanti percentuali si dividono in un 6% di italiane e in un 8% di transessuali provenienti soprattutto dal Sudamerica. L’osservazione dell’orario di apparizione sui marciapiedi urbani di queste ragazze ci permette anche di comprendere dove queste abbiano dimora. O per lo meno da dove provengano. Ad esempio le ragazze dei Paesi dell’Est iniziano a lavorare con i loro abiti succinti intorno alle 22. Questo ci permette di supporre, e poi confermare dopo attenta osservazione, che le prostitute romene e albanesi vivono nel territorio cittadino. Discorso diverso per le prostitute di origini africane. Queste, salvo alcuni casi, non si palesano prima delle 22.45-23.00. Il motivo è presto detto: il treno Torino-Genova, con tappa anche ad Alessandria, arriva intorno alle 22.31. Dal convoglio ferroviario, l’ultimo della giornata prima di quelli della mattina, scendono decine di ragazze che si smistano in base alla zona a loro assegnata. C’è chi dalla stazione si dirige così verso via Giordano Bruno e chi verso spalto Gamondio.

Una lista dei prezzi

Diversità che proseguono anche quando si tratta di prezzi. Che per le ragazze provenienti dai Paesi dell’Est varia dai 30 ai 50 euro. Cosa indipendente dalla prestazione richiesta che per tutte rimane la stessa: rapporto orale e vaginale. “Non baciamo, non pratichiamo sesso anale e soprattutto non applichiamo tariffe orarie. Prima i clienti si sbrigano meglio è”. A far cambiare le richieste di denaro è invece la zona dove le prostitute si trovano. Nei sobborghi il prezzo cala, mentre sale leggermente nelle zone più centrali, per poi schizzare alle stelle se si vuole godere della loro compagnia in appartamento. Molte, infatti, hanno anche una base logistica, diversa dall’automobile del cliente. Qui la richiesta varia dai 60 ai 100 euro. “In queste circostanze promettiamo maggiore relax. E soprattutto viene meno quell’ansia per essere scoperti dalla Polizia”. Decisamente meno oneroso il ‘tariffario’ delle ragazze africane. In questo caso il prezzo è di 20 euro, anche se alcune aumentano a 30 salvo poi scendere dopo lungo mercanteggiamento. “Molti uomini preferiscono le ragazze bianche. Quelle dell’Est. Per questo siamo costrette a chiedere molto meno”. Anche in questo caso il servizio è lo stesso di quello offerto dalle colleghe provenienti dalla Romania o dall’Albania. Al contrario, però, in questi casi non esiste l’opzione appartamento. “Veniamo tutte da fuori. O per lo meno la maggior parte. Viviamo tutte tra Asti, Genova e Torino. Arriviamo con il treno e ripartiamo al mattino”.

Cosa dice la legge

Ma tutto questo è legale o semplicemente tollerato da istituzioni e forze dell’ordine? Per rispondere a questa domanda bisogna risalire al 20 febbraio 1958, data dell’entrata in vigore della Legge Merlin che stabiliva l’abolizione della regolamentazione sulla prostituzione e la lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui. Si tratta di una legge il cui modello, giuridicamente parlando, va rintracciato nei Modelli abolizionisti. In questi ordinamenti la prostituzione infatti non è proibita, né è proibito l’acquisto di prestazioni sessuali a pagamento. Al contrario vengono punite tutta una serie di condotte collaterali alla prostituzione: favoreggiamento, induzione, reclutamento, sfruttamento, gestione di case chiuse, prostituzione tra i 16 e i 18 anni, atti osceni in luogo pubblico e altri. Questo porta a un buco normativo sulla regolamentazione della prostituzione. Inoltre per i giudici di Cassazione (cfr. sent. n. 38701/2014) le ragazze che fanno libera professione di meretricio non sono soggetti socialmente pericolosi, pertanto non può essere nei loro confronti giustificato il foglio di via obbligatorio. Questo perché per l’inclusione nella categoria dei soggetti socialmente pericolosi (ex art. 1, comma 1, n. 3, l. 1423 del 1956) non è sufficiente il mero svolgimento abituale di attività contrarie alla morale pubblica e al buon costume.

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