5 Febbraio 2018
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Mattia Algeri: il medico tortonese che cura la leucemia linfoblastica
TORTONA – Passano la maggior parte della loro vita nei laboratori, davanti ai monitor, tra le corsie dell’ospedale e centinaia di persone si aggrappano a loro per avere ancora una speranza. Non si parla mai abbastanza dei medici che col loro lavoro contribuiscono a far progredire la medicina e a salvare delle vite. In questa storia ha un ruolo di spicco il tortonese Mattia Algeri, pediatra onco-ematologico, che fa parte di un pool dell’Ospedale Bambin Gesù di Roma, centro coordinatore di uno studio innovativo che ha permesso di curare un piccolo di 4 anni affetto da leucemia linfoblastica acuta. Il bambino aveva avuto due ricadute dopo un trattamento chemioterapico e un trapianto di midollo osseo da donatore esterno. In questi giorni però è uscito dall’ospedale per tornare nella sua casa grazie a una terapia sperimentale applicata per la prima volta in Italia. “Il bambino sta bene ed è rientrato per qualche giorno nel suo paese di provenienza ma – ha spiegato Mattia Algeri – per ritenerlo definitivamente guarito dovremo attendere almeno un anno. Adesso quello siamo riusciti a ottenere la remissione della malattia. Con questa terapia è scomparsa.”
“La terapia – continua Algeri – si basa su una modificazione genica dei linfociti ‘T’ del paziente stesso. Di fatto armiamo i linfociti e li indirizziamo contro le cellule malate ed è una terapia innovativa perché sfruttiamo la potenza di fuoco del sistema immunitario per debellare la malattia. È la prima volta che applichiamo questa terapia in Italia ed è la prima volta che avviene all’interno dell’istituto accademico e quindi senza interventi dell’industria farmaceutica”.
La soddisfazione è certamente profonda sul fronde medico ma lo è anche sul piano umano, continua Mattia Algeri, “per il rapporto che instauriamo con i pazienti e le famiglie, soprattutto con coloro che hanno un percorso molto lungo. In passato si potevano perdere le speranze e ora offrirgli non solo una possibilità ma anche un trattamento di grande prospettiva terapeutica è una grande soddisfazione“.
Questo vuol dire anche caricarsi di responsabilità ulteriori perché l’obiettivo prevede il conseguimento di risultati definitivi per poi estenderli a un numero maggiore di bambini malati: “Quello è il lavoro su cui ci stiamo concentrando anche perché nella leucemia linfoblastica acuta c’è ancora una percentuale del 10% di pazienti che non risponde ai trattamenti e per questo è necessario sviluppare farmaci innovativi in modo tale che anche per loro ci sia una speranza di guarigione definitiva“.
Il lavoro complessivo per arrivare al successo odierno “è iniziato circa 3 anni fa ma i ricercatori che hanno sviluppato la tecnica erano andati negli Usa anni prima e il direttore del mio dipartimento è stato molto bravo nel reclutarli e nel permettere poi a questi giovani particolarmente brillanti di tornare in italia. Successivamente siamo arrivati, all’inizio dell’anno, all’infusione sull’uomo. Quindi un grosso lavoro pre-clinico e di ricerca culminato con la parte conclusiva e nella possibilità di vedere realizzati i risultati di tanta fatica”. Quindi i cervelli a volte “rimangono e ritornano in Italia”.
Il lavoro di 3 anni, continuativo, costellato di sacrifici però è tutt’altro che finito: “In questo momento viene solo da guardare avanti. Pensiamo a quello che si può fare ancora alla speranza che possiamo offrire a tanti pazienti. Guardando indietro si possono invece scorgere l’impegno e il sacrificio di tante persone ed è bello vedere realizzato tutto questo.”
In mezzo a tutto questo la bellezza di attimi che rimangono scolpiti nei ricordi: “Quando il bambino e la famiglia hanno lasciato l’ospedale erano felici, una felicità un po’ contenuta per il trascorso e perché una storia travagliata lascia sempre strascichi. Tuttavia si vedeva che il loro sguardo era cambiato e che c’era speranza nei loro occhi”.
Per Mattia Algeri il successo della terapia ha avuto un significato particolare: “Io avevo un legame particolare con questo bambino ed ero ancora più contento. Nel mio lavoro ci sono momenti di difficoltà, di scoramento ma anche momenti indimenticabili che porterò sempre con me perché uniscono la soddisfazione professionale a una ricompensa umana che difficilmente si può trovare altrove”.