1 Luglio 2013
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Piccolo commercio: bye bye Alessandria. La fortuna si cerca nei paesi lontani da dissesto e centri commerciali
Il commercio tradizionale è in crisi. Alessandria ne è la prova vivente con i suo negozi chiusi in pieno centro e le vie deserte nella maggior parte dei giorni della settimana. Lo sconforto dei commercianti ormai è straripante mentre il salotto dello shopping cittadino è diventato solo un lungo e decadente corridoio che prende vita, se va bene, unicamente nei week-end. Lo ha spiegato a Radio Gold News anche Alessandra, titolare del negozio di abbigliamento ‘Le firme di Capolupo’. Questo esercizio, in via Dante, chiuderà per colpa di affari sempre più magri, noonostante le aspettative di Alessandra, arrivata nel capoluogo nel 2010: “era già qualche anno che avevo in mente di aprire un’attività commerciale poi l’occasione è uscita perché mia zia aveva un negozio, non in Alessandria, e allora abbiamo deciso di metterci insieme e venire nella ‘city’ come si suol dire“. La scelta però non ha pagato: “assolutamente no. Pensavamo che la città ci desse qualche sbocco in più rispetto al paese e invece è stato un bel bluff.“
Il pensiero di Alessandra è quello che accomuna anche molti suoi colleghi: “c’è tanta paura – ha spiegato ancora Alessandra. Anche gli storici stanno inziando ad avere timori per quello che succede. Ormai c’è una preoccupazione diffusa che non attiene solo i nuovi ma anche coloro che da anni sono ad Alessandria“. La titolare del negozio ‘Le firme di Capolupo’ è arrivata nel capoluogo nel 2010 e da allora è cambiato tanto: “indubbiamente in tre anni abbiamo assistito a un progressivo peggioramento. Io ho deciso di aprire in un momento particolarmente difficile, in concomitanza con la crisi, però adesso sembra quasi ci sia il coprifuoco. Le persone escono dagli uffici e si fiondano in casa forse per non voler vedere. Io sono passata dalle 2-3 maglie che si potevano vendere regolarmente a uno stallo totale“. Alessandra tra qualche settimana chiuderà il suo negozio ma fino ad allora sarà costretta ad alzare la saracinesca. Inizierà la giornata aggrappata a una domanda: “chissà oggi come sarà, sarà come tutti gli altri giorni? Ormai la domanda che ci facciamo è quella e la risposta purtroppo è sempre la stessa“.
A questo punto però, generalizzando il discorso, la domanda è se il commercio tradizionale non abbia anche delle responsabilità e se non sia necessaria una maggiore compattezza del settore oltre alla necessitò di assumere scelte coraggiose e finora sempre osteggiate. Un esempio può arrivare dalla tanto discussa chiusura al traffico del centro storico: “forse ci vorrebbe maggiore collaborazione tra i commercianti. Sulle chiusure alle auto non è detto che una soluzione drastica sia la scelta migliore. Forse si può pensare a un fine settimana chiuso e uno aperto, sarebbe opportuno venirsi incontro ma questo argomento non può essere affrontato, ogni volta che viene sollevato si apre la terza guerra mondiale”.
Alessandra è una commerciante combattiva e lo ha dimostrato aderendo anche alle recenti manifestazioni a sostegno dei lavoratori e della città: “l’ho fatto perché se tutti perdono il proprio posto è chiaro che ci rimetto anch’io. Tutti dovremmo essere solidali e condurre insieme questa battaglia contro la crisi della città. Purtroppo però a quanto pare questo sentimento non è così diffuso“.
Adesso però le sorti di Alessandria per la titolare del negozio ‘Le firme di Capolupo’ diverranno uno ssfumato ricordo. Alessandra, con la sua attività, tornerà a Castellazzo Bormida e forse la sua decisione è un percorso che potrebbe rappresentare un’ancora di salvezza per molti piccoli commercianti: abbandonare le città più grandi, assediate dai centri commerciali, per trovare condizioni più a misura d’uomo nei piccoli comuni dove la concorrenza è minore. “Siccome sono caparbia e recidiva tornerò in paese e spero che vada bene. D’altronde chi non ha la possibilità di potersi muovere oppure non ha voglia di muoversi può trovare tante piccole realtà commerciali. A Castellazzo sono contenti anche perché eravamo l’unico negozio di abbigliamento.”