Autore Redazione
lunedì
3 Marzo 2014
00:00
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Cronaca - Italia

Boom di cibi low cost e cresce l?allarme qualità

Boom di cibi low cost e cresce l?allarme qualità

Nel 2013 sono aumentati del 14 per cento gli allarmi alimentari in Italia dove quello del cibo low cost è l’unico settore a registrare un aumento delle vendite per effetto della crisi, con ben 534 notifiche sulla sicurezza di cibi e bevande potenzialmente dannosi per la salute.
Dietro i prodotti low cost spesso si nascondono ricette modificate, dove l’uso di ingredienti è di minore qualità o metodi di produzione alternativi, è determinante pertanto verificare sempre gli ingredienti e la provenienza in etichetta, preferire l’acquisto di prodotti freschi o comunque poco elaborati e che non devono aver subito lunghi trasporti, diffidare dei prodotti che costano troppo poco come certi extravergini che non coprono neanche il costo della raccolta, sono alcuni dei consigli da seguire”.
Parole pronunciate dal Direttore della Coldiretti alessandrina Simone Moroni che ha partecipato all’incontro dal titolo i “Rischi dei cibi low cost” organizzato a Roma per analizzare i dati emersi dal sistema europeo di allerta rapido per alimenti e mangimi.
Il risultato – continua Moroni – è l’aumento degli acquisti di “cibo low cost” con oltre sei famiglie italiane su dieci (62,3%) che hanno tagliato quantità e qualità degli alimenti privilegiando nell’acquisto prodotti offerti spesso a prezzi troppo bassi per essere sinceri, che rischiano di avere un impatto sulla salute”.
Nel 2013 le vendite sono aumentate solo nei discount alimentari che hanno fatto segnare un incremento dell’1,6 per cento mentre sono risultate in calo tutte le altre forme distributive fisse al dettaglio. Un caso è rappresentato dall’olio extravergine di oliva in cui in quattro bottiglie in vendita in Italia nei discount è praticamente illeggibile la provenienza delle olive impiegate, che è comunque obbligatorio indicare in etichetta. I rischi del low cost riguardano anche le imitazioni dei nostri prodotti più tipici come il parmigiano Reggiano e il Grana Padano che soffrono la concorrenza sleale dei similgrana le cui importazioni in Italia sono raddoppiate negli ultimi dieci anni. Si tratta di formaggi di diversa origine e qualità che non devono rispettare i rigidi disciplinari di produzione approvati dall’Unione Europea, ma che rischiano di essere scambiati dai consumatori come prodotti Made in Italy perché vengono spesso utilizzati nomi, immagini e forme che richiamano all’italianità. “Un problema analogo – continua Moroni – riguarda i prosciutti che in quattro casi su cinque tra quelli venduti in Italia provengono da maiali allevati in Olanda, Danimarca, Francia, Germania, Spagna senza che questo venga chiaramente indicato in etichetta e con l’uso di indicazioni fuorvianti come “nostrano” che ingannano il consumatore sulla reale origine. Le caratteristiche di questi prodotti sono profondamente diverse da quelli a denominazione di origine come il Parma e il San Daniele che sono ottenuti da allevamenti italiani regolamentati sulla base di rigidi disciplinari di produzione approvati dall’Unione Europea”.
Almeno una mozzarella su quattro tra quelle in commercio non è stata realizzata a partire direttamente dal latte, ma da cagliate straniere, anche se non è obbligatorio indicarlo in etichetta. Ogni anno decine di milioni di chili di cagliate provenienti soprattutto da Lituania, Ungheria, Polonia e Germania diventano mozzarelle Made in Italy, dietro il nome di marchi con nomi italiani, ma nessuno lo sa perché non è obbligatorio riportarlo in etichetta.
“Oltre ad ingannare i consumatori- conclude Moroni – si tratta di una concorrenza sleale nei confronti dei produttori che utilizzano esclusivamente latte fresco perché, rispetto alla mozzarella genuina fatta dal latte, quella “tarocca” costa attorno alla metà e può essere venduta sullo scaffale a prezzi molto bassi”.

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