4 Aprile 2014
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Fabbio sul rendiconto 2010 : ‘le soluzioni di Vandone mi parvero attuabili, giuste e legittime’
“Ciò che si può fare si fa. Quello che non si può fare non si fa”. Questa la direttiva che Piercarlo Fabbio, ex sindaco di Alessandria, sostiene di aver sempre dato agli uffici in merito alle criticità di bilancio e al rischio di sforamento del patto di stabilità. “Un input a lavorare sempre nella piena legittimità” ha chiosato durante il lungo esame del Pm, Riccardo Ghio, nell’ultima udienza del processo penale che lo vede imputato insieme all’ex assessore al bilancio, Luciano Vandone e all’ex Ragioniere Capo, Carlo Alberto Ravazzano, per due ipotesi di falso, truffa e abuso d’ufficio. Unico presente in aula, Piercarlo Fabbio ha deciso di sottoporsi alle domande del Pm per scansare l’accusa di aver contribuito a modificare il rendiconto 2010 così da far configurare il rispetto del patto di stabilità. Fabbio, ha spiegato in quasi due ore di interrogatorio, si teneva informato “in termini generali” sulle questioni di bilancio, più che altro “per capire quanto si poteva spendere”. Quelli “erano anni di crisi” ha aggiunto, ma la razionalizzazione delle spese non avrebbe potuto congelare gli investimenti del Comune e delle sue partecipate “la più grande azienda del capoluogo”. “Il mestiere del sindaco è diverso da quello dei tecnici”, ha sottolineato in aula con tono pacato, e Fabbio, in quel periodo concentrato su altre delicate vicende, si era affidato a Vandone, la sua “interfaccia” per le questioni legate al bilancio. Che qualcosa non andasse nelle entrate e nelle spese, ha spiegato, lo intuì però più che altro “dall’insieme dei meccanismi attuati dalla Giunta”, come ad esempio l’aumento della tassa rifiuti del 20-25%. Una proposta, ha raccontato l’ex sindaco, avanzata da Roberto Salvaia, uno dei vari Ragionieri Capo che si susseguirono in quegli anni. Rimasto pochi mesi a Palazzo Rosso, Salvaia, primo teste di giovedì mattina, rilevò uno squilibrio finanziario e lo mise nero su bianco in un documento inviato proprio all’indirizzo dell’ex primo cittadino, anche se poi ne parlò solo con Luciano Vandone. Fabbio non entrò mai nel dettaglio di quelle criticità, né tantomeno, ha sostenuto, seppe che il motivo dell’addio di Salvaia furono le “divergenze d’opinione” con l’ex assessore al bilancio, più che il peso di una vita da pendolare da Alessandria a Pinerolo. Nessun sentore, ha spiegato, neppure di eventuali dissensi tra Luciano Vandone e il successivo Ragioniere Capo, Antello Zaccone. “Un amico” ha sottolineato l’ex sindaco, che “forse per non caricare di preoccupazioni” l’ex primo cittadino, in quel periodo in fase di recupero dopo un intervento al cuore, non parlò mai con lui di quei “disequilibri” segnalati poi in una nota inviata a vari dirigenti di Palazzo Rosso a fine 2010. L’improvvisa dipartita “dell’amico Antonello” a pochi giorni dalla chiusura dell’esercizio finanziario, come sottolineato sia dal Pm che dal Presidente del Collegio, non destò però particolari preoccupazioni nell’ex sindaco che “si mosse per quello che poteva fare”. Conosciute, almeno in termini generali, le criticità di bilancio e la distanza dall’obiettivo del patto di stabilità, Fabbio non verificò nel dettaglio la situazione finanziaria dell’ente, né tantomeno stette “con il fiato sul collo” a Vandone. L’ex sindaco, ha spiegato, si mise al lavoro per trovare un nuovo Ragioniere Capo. Dopo aver ‘corteggiato’ Maurilio Sartor, che alla fine rifiutò, Fabbio propose l’incarico a Carlo Alberto Ravazzano. Scelto tra altri 7 o 8 candidati, ha spiegato, il nuovo Ragioniere Capo venne presentato ad alcuni membri della Giunta proprio durante l’ormai famosa “riunione informale” di sabato 29 gennaio. Un incontro in cui i bilanci di Palazzo Rosso vennero relegati a qualche “considerazione generale”, ha ribattuto Fabbio al Pm. Proprio in quella riunione, secondo l’accusa, venne invece analizzato il saldo negativo rispetto agli obiettivi del patto di stabilità e dato il via libera a quegli ‘slittamenti’ di spese che fecero poi ‘tornare i conti’. A dimostrarlo, per l’accusa, una nota firmata proprio dall’ex primo cittadino di Alessandria. “Una semplice informativa degli uffici” che l’ex sindaco, ha spiegato, “non ha mai firmato” ma solo “siglato” e alcuni giorni dopo la riunione informale di quel sabato. Mai apposta la dicitura “visto e approvato dalla Giunta” ha puntualizzato, Fabbio siglò l’atto per dare una sorta di via libera a una successiva discussione con gli assessori. Anche se quella “non era la prassi” e quel documento alla fine non arrivò mai in Giunta, Fabbio non si fece particolari domande. L’ex primo cittadino non chiese spiegazioni neppure quando la distanza dagli obiettivi economico-finanziari venne rapidamente colmata e l’ex sindaco firmò la certificazione del patto di stabilità. “Ma lei si è preoccupato? Ha chiesto a qualcuno come stava il Comune di Alessandria?” ha incalzato la Presidente del Collegio. “Non era costume” che un sindaco come lui “entrasse nelle questioni tecniche” e quando Vandone gli parlò di “scorrimenti” e “scivolamenti” di spese, Fabbio, ha spiegato su sollecitazione di uno dei suoi difensori, l’avvocato Claudio Simonelli, “si fidò”. Vandone gli disse che quella “era una prassi consolidata in Comune” e le soluzioni prospettate dall’ex assessore apparvero a Fabbio “attuabili, giuste e anche legittime”. L’ex sindaco si limitò a “rispettare le deleghe e competenze di Vandone per non alterare i rapporti politici” e siglò la certificazione del patto di stabilità. Un obiettivo, hanno chiosato giovedì i periti dell’accusa Davide Di Russo ed Elena Brunetto, raggiunto però gonfiando le entrate di circa 6,5 milioni di euro e stralciando impegni di spesa già in liquidazione per circa 13 milioni, girati poi nel bilancio 2011, senza rispettare le norme contabili.