16 Giugno 2014
00:00
Le radiazioni emesse dal cellulare da oggi si calcolano con un’app
Tra una ricerca su Shazam, un post su Facebook e un cinguettio su Twitter, i possessori di uno smartphone d’ora in poi potranno anche quantificare la loro esposizione alle radiazioni emesse dall’apparecchio. L’app fornisce un report giornaliero sull’ utilizzo del cellulare classificandolo in una delle tre fasce di esposizione alle emissioni (bassa, media, alta). L’innovativa applicazione arriva da Arpa Piemonte a conclusione di uno studio unico nel panorama scientifico internazionale.
Attraverso un sistema di misure ad hoc, gli esperti dell’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente hanno condotto una ricerca sull’esposizione umana ai campi magnetici emessi dal telefonino.
I risultati hanno dimostrato che le tecnologie più moderne sono anche più sicure. “L’utilizzo di una rete 3G– ha spiegato Giovanni D’Amore, responsabile del dipartimento radiazioni di Arpa Piemonte- porta ad esposizioni molto meno significative rispetto al vecchio 2G”.
Gli esperti consigliano poi di allontanare il cellulare dalla testa, utilizzando vivavoce o auricolari durante le chiamate. Una distanza di appena 30 cm, infatti, riduce l’esposizione alle radiazioni del 90%. Quando, invece, “non c’è campo” o il segnale è debole sarebbe meglio rinunciare alla chiamata. “La potenza emessa dal telefonino– ha sottolineato Giovanni D’Amore- aumenta in funzione del livello del segnale ricevuto. Quando il segnale è basso, le radiazioni emesse dal dispositivo aumentano”.
Se poi le radiazioni dei cellulari siano dannose per la salute o meno non è ancora chiaro. “Di recente– ha aggiunto il responsabile del dipartimento radiazioni di Arpa Piemonte- l’Istituto Internazionale per la ricerca sul cancro dell’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato le radiazioni come possibili cancerogene. Esiste infatti qualche prova del fatto che ci possano essere correlazioni tra l’esposizione prolungata e alcuni tipi di tumori ma si tratta comunque di evidenze che non hanno ancora permesso alla comunità scientifica di trarre conclusioni”.