8 Aprile 2019
01:54
Il distretto orafo cerca giovani ma parla una lingua diversa dalla loro
VALENZA – La presentazione dei passi avanti compiuti dal Progetto Gold di Cna a Valenza ha rimarcato ancora una volta la necessità di spingere sulla formazione per non perdere un patrimonio artistico prezioso quanto vitale. L’arte orafa valenzana è a rischio per la difficoltà nel reperire nuove leve intenzionate ad apprendere i segreti della gioielleria. Non è un problema da poco per una città che ha fatto di questo settore la sua ragione di vita.
Fabrizio Checchin, portavoce Cna orafi Valenza, 46 anni, è perfettamente consapevole del problema, figlio, ha spiegato, di tante ragioni, ma determinato anche da chi è venuto prima. Oggi, spiega “Valenza ha poco o nulla per i giovani, ci sono poche cose che attirano i ragazzi e occorrerebbe trovare qualcosa per renderla attraente e dare quindi un contributo nel percorso di avvicinamento di chi deve imparare questo mestiere.”
Fino a oggi Valenza ha dimostrato “scarsa attenzione nei confronti dei giovani, anche se è una cittadina sicura e tranquilla“. Elementi però ritenuti non sufficienti per avvicinare nuove leve, nonostante le opportunità di lavoro. Tuttavia, pensa Checchin, “è solo questione di tempo perché se a Valenza si lavora e tanta gente ritorna prima o poi le cose cambieranno. A qualcuno verrà in mente qualcosa di brillante per tornare ad avvicinare i giovani”.
Checchin confida proprio nei ventenni di oggi, “magari saranno loro a dare nuovi input“. Il problema però è che la città e in particolare il settore orafo ancora non parlano la lingua dei giovani. “I giovani al giorno d’oggi vivono usando smartphone e computer, quelli che ho in azienda con me sfruttano tutti questi canali e, che io sappia, l’arte orafa dimentica questa possibilità. I grandi marchi, per esempio, usano tutti Instagram e sarebbe sufficiente ricalcare questo approccio“. Un paradosso su cui riflettere visto che il mondo fashion cavalca i social frequentati dai giovani, quasi completamente ignorati invece da botteghe e artigiani.
A questo si aggiunge un altro aspetto critico: il tempo. “Una volta – osserva l’esponente di Cna – c’era il tempo per insegnare e imparare questo lavoro“. Oggi la situazione è cambiata radicalmente rispetto al passato e “per colpa dei margini tirati all’osso non c’è più tempo per investire sul giovane“. Un problema che riguarda le piccole botteghe e non ovviamente le grandi realtà dove però la produzione è più seriale. I piccoli quindi hanno le mani legate nonostante “ci siano persone disponibili a insegnare“.
In questa situazione l’attività della scuola-lavoro è importante: “Io ho fatto il Foral – spiega Checchin – e stare in fabbrica e vedere come funziona cambia la prospettiva“. La sua azienda ha dipendenti arrivati tutti dalla scuola-lavoro e quindi il Foral può essere definita “una buona palestra per il distretto”.
Discorso a parte merita la presenza dei grandi marchi, utili per il territorio perché “creano e danno lavoro e, nei casi di brand illuminati, fanno una sorta di pubblicità gratuita a Valenza, anche se in molti casi si perde un po’ la dote creativa di questo settore“. Aspetto creativo che differenzia radicalmente Valenza dal resto del mondo “nonostante anche in altri posti si stia imparando a lavorare bene l’oro”. Una concorrenza comunque che non impensierisce troppo Checchin “anche se non dobbiamo sprecare questo patrimonio, invogliando i giovani a imparare un mestiere stupendo e che può essere fatto solo con la passione necessaria“.
Innegabile comunque riconoscere che “i tempi sono cambiati. Oggi i ragazzi vanno all’Università e questo preclude in automatico la strada dell’orefice perché si preferiscono altri mestieri“. L’arte orafa una volta veniva tramandata di padre in figlio in un percorso quasi naturale e scontato che oggi non avviene più, nonostante l’offerta. La crisi nel passaggio delle conoscenze sconta anche la chiusura complessiva del territorio che dovrebbe far conoscere maggiormente e universalmente le prospettive del settore orafo. Un po’ come avveniva negli anni ’90 “dopo l’abolizione della leva obbligatoria” ricorda Checchin. In quel periodo “non c’era fiera o rivista che non avesse delle campagne pubblicitarie che invitasse a entrare nell’Esercito. Noi dovremmo fare altrettanto invitando i giovani a imparare questa arte“. Per fare questo però è però necessario “cambiare mentalità“. E su questa espressione si sofferma il sospiro di Checchin a dimostrazione che Valenza oggi è incagliata su un modo ragionare ancora fermo a molto tempo fa mentre tutto, attorno, è cambiato.